Il libro Nel 1997 nascono i Sun Eats Hours, la prima band di Francesco Lorenzi. Dopo qualche anno, hanno già all’attivo quattro dischi in inglese, concerti in tutto il mondo, migliaia di fan del loro punk melodico e il premio come Miglior punk rock band. Ma la loro vita si smarrisce dietro a droga, alcol e sesso. Francesco entra in crisi: così non può più andare avanti. Incontra Gesù e rinasce, come uomo e come artista. Comincia a scrivere canzoni in italiano e recupera alla vita i suoi amici. Decidono di cambiare il nome della band in The Sun. Ora le note musicali «ci permettono di ascendere al cielo, verso l’eterno e l’infinito», scrive Lorenzi in questa sua autobiografia della rinascita (La strada del sole
, Rizzoli, pagine 396, euro 17), introdotta da una prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi della quale pubblichiamo qui sotto un ampio estratto. Il racconto della forza vitale di un artista che ha scoperto Dio e non si vergogna di cantarlo al mondo col linguaggio musicale
dei giovani. Nel 2013 i The Sun si sono esibiti
anche per Benedetto XVI e papa Francesco.Ho sempre amato camminare per le strade delle città per poter – forse paradossalmente agli occhi di qualcuno – meglio pensare. Non mi distraggono i volti, le case, le cose, lo strombazzare delle auto, il respiro di fondo delle metropoli. C’è, però, un dato che da tempo mi ha scosso dai miei pensieri e mi ha colpito. Quasi tutti i giovani che incrocio hanno alle orecchie un auricolare e, quando a un semaforo rimaniamo appaiati, è facile ascoltare l’eco della musica che risuona e fuoriesce dalle loro orecchie. Non so se questo sia anche un modo per isolarsi dalla scena del mondo, per calare una visiera sonora sulle parole di noi adulti. Certo è che la musica è diventata l’esperanto delle giovani generazioni, la loro lingua franca. Una musica ben diversa da quella che ha colmato per decenni le mie orecchie rendendole alla fine simili a una conchiglia che conserva per sempre molte armonie del mare dei suoni. Quella dei giovani è, infatti, una musica che ha una “grammatica” ben diversa, genera emozioni fisiche primarie, anche perché spesso il suo ritmo reiterato sembra evocare il battito cardiaco, auscultato quasi stando in un grembo materno. Proprio per questo ho voluto, abbandonando per un momento Bach, Mozart, Beethoven e l’immenso grandioso e glorioso repertorio classico a me consono, lasciare spazio anche a questi suoni. Non l’ho fatto, certo, per imitazione giovanilistica: il mio udito rimane aggrappato saldamente alle altre lunghezze d’onda. Ho voluto, invece, esplorare un orizzonte a me ignoto, mosso dalla
curiositas latina, un vocabolo che deriva da “cura” e che suppone quindi un interesse appassionato e non banalmente “curioso”, superficiale, eccentrico o indiscreto. È stato, così, che ho incontrato Francesco Lorenzi e la sua band, trascinandoli in un’esperienza inedita anche per loro. Immagino che la maggior parte dei lettori ignori la struttura e l’attività di un dicastero vaticano, come lo è quello che io ora dirigo e che reca il titolo formale di Pontificio Consiglio della Cultura. Si tratta di un’istituzione che non comprende solo un’équipe composta da ecclesiastici e laici residenti a Roma, ma che coinvolge anche una nutrita schiera di cardinali, vescovi, ecclesiastici e personalità delle varie discipline culturali provenienti da tutti i continenti, e quindi da etnie, lingue, civiltà e comunità ecclesiali differenti. Infatti i dicasteri sono espressione non dello Stato della Città del Vaticano – anche se in esso sono spazialmente e giuridicamente collocati – bensì della Santa Sede, ossia del segno unificatore della Chiesa cattolica universale. Ora, uno degli eventi più importanti e significativi della vita di queste istituzioni è la cosiddetta “Plenaria”, quando convergono a Roma tutti i membri e i consultori del dicastero per essere informati sulla sua attività e per affrontare un tema, un progetto o una futura programmazione. Agli inizi di febbraio 2013, questo piccolo parlamento si è riunito attorno a un tema fluido, complesso e persino problematico già nel titolo:
Le culture giovanili. Mi era, così, venuta alla mente proprio quell’esperienza vissuta durante i miei percorsi urbani, fianco a fianco con giovani che mi ignoravano, attenti solo al ritmo di quelle musiche che colpivano i loro timpani, muovevano le loro teste e probabilmente emozionavano i loro cuori e le loro menti. Avevo incontrato casualmente i
The Sun a Milano l’anno prima, durante la Giornata Mondiale della Famiglia. Pensai a loro perché ritenevo che fossero capaci di proporci quella forma musicale così significativa del mondo giovanile com’è il rock, e al tempo stesso fossero in grado di mostrarne il senso, la forza espressiva, la dimensione “performativa”, come si usa dire nel linguaggio paludato, ossia l’efficacia, l’incisività, l’influsso creativo sui fruitori di quel genere. Il gruppo accettò di venire a Roma e, nell’aula magna di un’università di matrice cattolica, la Lumsa, tennero la loro esecuzione-lezione il cui filo conduttore era retto appunto da Francesco, autore dei testi e cantante.Due erano i registri, gli stessi che domineranno in queste pagine: da un lato, la musica rock col suo potere evocatore e provocatore e, d’altro lato, la testimonianza personale col suo tormentato itinerario di ricerca, simile al corso di un fiume dotato di anse con acque morte ma anche di un estuario finale segnato da un approdo luminoso in mare aperto. Cardinali, vescovi, studiosi, a prima vista sconcertati, furono condotti per mano da Francesco Lorenzi e dai suoi amici all’interno di quell’orizzonte a loro ignoto e, a sorpresa, essi stessi vedevano cadere certi loro preconcetti e sospetti e scoprivano che su quel terreno non si celebrano necessariamente riti satanici, ma possono fiorire anche emozioni spirituali e serpeggiare domande ultime di senso.Ricordo ancora in quel pomeriggio del 6 febbraio 2013, dopo l’esecuzione, uno dei maggiori esponenti della musica colta contemporanea a livello mondiale, membro del nostro dicastero, l’estone Arvo Pärt, accostarsi a quei giovani per interrogarli sulle loro sonorità, sulle contaminazioni musicali sottese, sul loro linguaggio espressivo. Io stesso, in seguito, avrei cercato di comprendere ulteriormente questo piccolo oceano di suoni dalle molteplici iridescenze, passando dal più pacato rock di taglio country o folk, fino a quello per me più impressionante e fin sconvolgente l’hard, il punk, il new wave e così via. Ogni “Plenaria” di dicastero ha poi, come suggello, l’udienza papale. E qui diventa significativa la data: l’incontro con Benedetto XVI era fissato per le ore 12 del 7 febbraio, a distanza di quattro giorni dall’atto storico delle dimissioni. Dopo il discorso del Papa, l’ultimo a livello di udienza ufficiale del suo pontificato (ma nessuno in quel momento lo poteva immaginare), nella fila dei cardinali, dei vescovi, degli ecclesiastici e delle personalità c’erano anche loro, i
The Sun, con Francesco come portavoce, pronti a “impressionare” il pontefice non solo con la loro musica – consegnata a lui in CD – così lontana dalla sua ben nota competenza musicale, ma anche con la loro mise esteriore non certo protocollare. E, invece, come posso testimoniare io che gli stavo a lato, Benedetto XVI fu preso proprio dalla stessa
curiositas a cui accennavo e li interpellò e ascoltò con gusto.