Idee. La filosofia nasce dal mare?
«Per l’alto mare aperto»: in un vertice di retorica la perorazione di Ulisse ai vecchi compagni, nelle celebri terzine di Dante, è ulteriore prova della sua permanenza nell’Inferno, dove Alighieri e Virgilio lo incontrano nel settimo girone. Ulisse, superate le traversie e gli affanni, rifiuta, nella versione di Dante (che non conosceva l’Odissea) il ritorno a Itaca, sua patria, a Penelope, sua moglie, al padre Laerte e al figlio Telemaco. In nome della ricerca incondizionata dell’assoluto, oltrepassare le Colonne d’Ercole, entrare nel mare proibito agli umani. Non è punito solo per questo atto di superbia, l’uso perverso della divina sete di conoscenza, ma anche per il modo ingannevole con cui ha sedotto i compagni «vecchi e tardi», incantandoli e portandoli alla rovina, al mare che si chiude su di loro. Luciferino, e seduttore. Ulisse è punito perché fa uso perverso di ardore e conoscenza, trascinando i vecchi compagni all’impresa, al «folle volo». Il suo spirito è quello del Dottor Faustus, che sfiderà Dio, volando nel cielo al suo cospetto, e morirà inghiottito dalla terra come Ulisse dal mare. L’astuto ed empio itacense rema contro la corrente, come farà Kurtz nella sua nave dannata risalendo al contrario il fiume Congo... Vuole la conoscenza assoluta del mistero del mare, in cui morirà, affogato, come il titanico Achab di Moby Dick.
L’Ulisse di Dante, prototipo di Faustus, si contrappone a un altro mago a contatto con il mistero del mare: Prospero, protagonista della Tempesta di Shakespeare, operati i prodigi, spezzerà la bacchetta magica e la affiderà al mare, nel cui abisso la magia ha origine, e ci è data in prestito. Come Dante, che volerà oltre Saturno e scorgerà la Terra, Ulisse, nel suo folle oltrepassaggio del limite, «si volge indietro a guardare verso il luogo da cui proviene, e, a differenza da Dante, osserva giusto, (...) Ulisse ha intelligenza del mondo, e, cosa ancor più importante, della propria situazione nel mondo...». E Dante, allora, si fa da parte.
Non condivido per nulla questa lettura (Ulisse è un superbo ed empio, e Dante lo ficca nell’Inferno), ma il suo autore, Roberto Casati, in essa svela l’importanza e l’intelligenza del suo libro, Oceano. Una navigazione filosofica (Einaudi, pagine 210, euro 20,00), nuovo e semplicemente necessario. E nello stesso capitolo iniziale l’autore delinea le fondamenta del saggio: «Il mare è un mondo altro, differente; radicalmente differente. Questa differenza è una sfida per la conoscenza e per i concetti che usiamo per descriverlo». Dobbiamo accettare fino in fondo questa alterità, prosegue Casati nella sua prosa lucida, persuasiva e narrante, noi non possiamo assimilare il mare, e quindi dobbiamo convivere con una realtà estranea quanto originaria: «la filosofia e il mare sono legati a doppio filo».
Che esista una parte dell’anima che solo il mare suscita e ispira lo insegnano Melville e Conrad. Ma Casati compie un’operazione diversa, ardita e riuscita: questa ipotesi è ambiziosa, come l’autore riconosce, ma fondata e alla fine condivisibile. La filosofia, come si è consolidata e come la conosciamo, nasce dal mare, dal confronto esigente con qualcosa che non comprendiamo ma con cui dobbiamo interagire.
Capitoli sulle regole di chi si avventura per mare, le stesse che ispirano il percorso della filosofia, non sicuro, su terraferma e piste battute, ma incerto sulla mutevolezza delle onde e dei venti, eppure furioso. Creare, pensare, salpare, osservare, nascere, usare, rispettare, soccorrere, e in un ultimo, approdare: che per il navigatore e filosofo quale risulta essere, con passione e sapienza, anche nella vita, il bravissimo Roberto Casati, equivale a ripensare. Sì, approdare vuol dire rivivere ex novo, ripercorrere, te stesso e il tuo viaggio, e il mare alle spalle, ma da una riva nuova e sconosciuta.