Dietro a una delle immagini più note del pontificato di Giovanni Paolo II – l’abbraccio col rabbino Elio Toaff in occasione della storica visita del Papa alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986 (nella foto a fianco) – si scorge il profilo di monsignor Clemente Riva, paziente tessitore di dialogo e di amicizia con gli ebrei. Per Riva quell’evento non rappresentava certo un fatto estemporaneo o un coup de théatre mediatico, bensì il culmine di un percorso concreto di avvicinamento. Non a caso alla morte, il 30 marzo 1999, la stampa italiana scrisse che era morto il vescovo del dialogo con gli ebrei. Riva, prete intellettuale, rosminiano, sensibile alle sofferenze dei poveri e alle problematiche sociali, ha vissuto per molti anni immerso nella complessa realtà romana, come vescovo ausiliare e presidente della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo. La sua simpatia per il mondo ebraico aveva due direttrici: la prima culturale, derivata dagli studi e dalla conoscenza della storia, nonché dalla sua discendenza spirituale rosminiana; la seconda umana, formatasi nell’incontro con personalità ebraiche, soprattutto romane. Riva conosceva la storia difficile dei rapporti ebraico- cristiani, segnata da secoli di divisione, di discriminazioni e di ostilità antigiudaica. Visitava l’antico ghetto di Roma conoscendone le vicende, dall’epoca remota della sua istituzione per volere di Paolo IV, nel 1555, ai tragici 9 mesi dell’occupazione nazista di Roma, in cui si consumò la deportazione di parte degli ebrei romani, razziati all’alba del 16 ottobre 1943 e nei mesi seguenti. Aveva vissuto, da prete, l’evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’ebraismo, le sollecitazioni di Jules Isaac perché si abbandonasse «l’insegnamento del disprezzo», le aperture di Giovanni XXIII e il lavoro prezioso del cardinale Agostino Bea nella non facile gestazione del documento conciliare Nostra aetate. Sapeva bene che il Vaticano II avrebbe segnato una svolta profonda nei rapporti con l’ebraismo e che l’aggiornamento dettato dal Concilio andava recepito in profondità, con un’applicazione paziente nelle realtà locali e nella vita quotidiana. Proprio la realtà locale di Roma gli appariva densa di significato nei rapporti con l’ebraismo. È quanto egli stesso sottolineò in uno scritto del 1983: « La Chiesa di Roma è stata fondata dagli apostoli Pietro e Paolo, della stirpe ebraica. Inoltre si registra a Roma una millenaria storia di convivenza tra ebrei e cristiani, storia che – pur se intessuta purtroppo di molti eventi negativi – ha creato tuttavia nella nostra diocesi un tessuto sociale e culturale, che ha e non potrà non avere anche per l’avvenire ripercussioni nel contesto religioso». Si legge qui quasi un’intuizione di quanto sarebbe accaduto a distanza di 3 anni: la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma ebbe infatti ripercussioni sui rapporti ebraico- cristiani a livello mondiale. Nel 1988 promosse in seno alla Cei l’istituzione di una « Giornata di riflessione » sui rapporti tra cattolici ed ebrei. La Giornata fu fissata per il 17 gennaio, alla vigilia dell’annuale « Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani » . Per Riva, infatti, il rapporto con l’ebraismo non è estraneo all’ecumenismo tra cristiani di diverse confessioni. Egli riteneva che le radici semitiche del cristianesimo fossero un fattore comune, unificante, utile anche nel dialogo ecumenico. Nel 1991 monsignor Riva portò la sua idea all’Assemblea speciale per l’Europa del sinodo dei vescovi. Numerosi vescovi furono attratti dalla visione di un rinnovato dialogo tra cattolici ed ebrei, e la « Giornata di riflessione » venne istituita anche in altri Paesi europei. Il vescovo lombardo, che partecipava del dialogo ebraico-cristiano ai massimi livelli, conosceva anche l’importanza dei piccoli gesti. In occasione del suo unico viaggio in Israele, nel 1995, volle recarsi alla sinagoga di Roma, prima della sua partenza. Il pellegrinaggio ai luoghi santi del cristianesimo assumeva per lui anche la valenza di una visita alla terra degli ebrei, suoi amici. Anche in questo semplice gesto di amicizia si coglie molto della scelta di monsignor Riva di condividere concretamente la propria vita con gli altri. A distanza di due anni sarà lo stesso Toaff, assieme al rabbino capo di Milano Giuseppe Laras, a dedicare a Riva dieci alberi della foresta « Papa Giovanni XXIII » a Nazareth, luogo in cui si commemorano i maggiori protagonisti del dialogo ebraico- cristiano, primi tra tutti papa Roncalli e Jules Isaac. Emanuele Pacifici ha ricordato un altro gesto di amicizia – piccolo ma denso di significato – che monsignor Riva compì verso gli ebrei: «Non molti anni fa, per un errore del ministero degli Interni, era stata fissata la data per le elezioni nell’ultimo giorno di Pesach, quindi moed, festa solenne per noi ebrei. Monsignor Riva, anche attraverso la stampa, propose di posticipare di una settimana le votazioni, nonostante cadessero durante la Pasqua cattolica: "Per noi cattolici non è peccato scrivere" , disse ai giornalisti». Anche Tullia Zevi, che fu per parte ebraica tra gli organizzatori della visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma, ha sottolineato il ruolo svolto dal vescovo lombardo nel dialogo ebraico- cristiano: «Riva ha istillato in questo dialogo un clima di benevolenza, di volontà di comprensione, di spirito di lavoro comune. E penso che se il dialogo ebraico- cristiano si è avviato in un modo positivo a Roma e in Italia, lo si deve in gran parte alla sua opera e personalità » . È lo stesso Clemente Riva a spiegare la sua visione, in un’intervista degli ultimi anni: « L’ebraismo è rivelazione anche per i cristiani. La storia sacra dell’Antico Testamento è storia sacra anche per noi. Non si tratta di un legame con il passato. È soprattutto un rapporto vivo con il popolo ebraico vivente, contemporaneo. Un rapporto che ci permette oggi di approfondire sempre di più, ebrei e cristiani insieme, il significato della Rivelazione, dell’unità di Dio, dei valori e dei messaggi contenuti nell’Antico Testamento » . Giovanni Paolo II con il rabbino Elio Toaff il giorno della visita alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986.