Agorà

Teatro. Rinascono "Le Lombarde", tragedia perduta di Testori

Fulvio Panzeri sabato 3 dicembre 2016

Spesso sugli scrittori, in Italia, dopo la morte scende una specie di oblìo, che porta a dimenticare anche lezioni importanti e significative. Eppure mantenere viva la memoria è fondamentale affinché le voci della cultura del secondo Novecento continuino a parlare alla contemporaneità.

Ciò avviene quando intorno allo scrittore si crea un centro di aggregazione che ne cura il lascito, quello degli scritti editi e inediti, promuovendo iniziative, ma soprattutto sollecitando gli studi e diventando luogo di scambio e di riferimento anche per le università. Là dove questo avviene, la memoria tende a restare viva e la lezione culturale ritorna ad essere attuale, sempre ricca di nuovi fermenti.Un esempio in questo senso è quello che si è creato intorno all’opera di Giovanni Testori, complessa, ricca di percorsi e di zone ancora da esplorare, nonostante il lavoro che è stato fatto negli ultimi vent’anni con la catalogazione dei quaderni manoscritti e dell’archivio presso la Fondazione Mondadori e con il lavoro di documentazione e di iniziative svolte dall’Associazione Testori, che proprio oggi organizza «Un sabato testoriano» a Casa Testori di Novate Milanese. Quattro giovani studiosi presentano i risultati delle loro ricerche universitarie sulla figura del grande scrittore lombardo tra arte, teatro e letteratura, mentre viene inaugurata a cura di Davide Dall’Ombra la mostra «Testori 45», che presenta dipinti e disegni mai esposti prima, realizzati in un anno cruciale nell’esperienza artistica testoriana.

Proprio questo appuntamento mette in luce quanto la valorizzazione dello studio critico e filologico su uno scrittore porti non solo a un approfondimento dell’opera, ma anche alla scoperta di testi inediti, a lungo cercati e creduti perduti, dei quali esistevano solo poche notizie. Così tra ricognizioni, ricerche e studi avvengono i recuperi più significativi. Il ritrovamento di cui viene data notizia oggi a Novate è di quelli importanti e riguarda il periodo del dopoguerra, quando il giovane Testori si dedica in modo particolare alla pittura e al teatro. In un’intervista egli aveva detto, ricordando quegli anni: «Ho scritto, disegnato, dipinto tanto… E distrutto nel 1949 tutto quello che avevo dipinto. Tutto. Poi non ho più dipinto per anni».Soprattutto iniziò a confrontarsi con il teatro, costruendo una sorta di "quadrilogia" che copre quasi un intero decennio. Tra il 1943 e il 1944 scrive Cristo e la donna, il cui testo è stato pubblicato anni fa da Interlinea, cui segue tra il 1947 e il 1948 Caterina di Dio, andato in scena nel 1948 al Teatro della Basilica di Milano, interpretato da una giovane Franca Norsa (che più tardi assumerà il nome d’arte di Franca Valeri); testo che Mario Apollonio nel 1960 definisce «uno dei più singolari drammi sacri del dopoguerra».

Nel 1949 Testori scrive Tentazione in convento, la storia di una lotta con Dio avente per protagonista suor Marta Solbiati di Arcisate; tra il 1949 e il 1950 lavora invece a Le Lombarde, che andrà in scena a Padova con la regia di un giovane Gianfranco De Bosio. È un teatro che percorre e anticipa forme e temi poi ripresi tra la fine degli anni Settanta e Ottanta, da Conversazione con la morte in poi, ma del quale tutti i testi non era stati finora recuperati.Negli ultimi anni di vita lo stesso Testori si era di nuovo interessato a quella stagione, forse dopo la rilettura di Tentazione nel convento, inviatogli da Orazio Costa che lo aveva ritrovato tra le sue carte: un testo che aveva profondamente colpito lo scrittore. Egli sperava di ritrovare anche Caterina di Dio (di cui ancora non si hanno notizie) e Le Lombarde, in cui gli sembrava, nella memoria, potesse riecheggiare l’eco del Naufragio, il capolavoro del grande poeta inglese Gerald Manley Hopkins, da lui molto amato.

Ora, dopo anni di ricerche, grazie anche al lavoro di recupero e di catalogazione del suo archivio (da qui la necessità di incentivare queste forme di salvaguardia del patrimonio artistico di una nazione), Gianfranco De Bosio ha ritrovato il testo delle Lombarde grazie alla richiesta della giovane bolognese Giuditta Fornari, che sta lavorando a una ricerca sulla ricostruzione della dimensione scenico-performativa della drammaturgia testoriana. Si tratta di un ritrovamento decisamente significativo, che finalmente permette di conoscere un testo di cui finora si avevano a disposizione solo le cronache della rappresentazione del 1950.La Fornari sottolinea che si tratta di una seconda versione, in cui Testori opera una riduzione del testo rappresentato, come viene segnalato dalla lettera che lo accompagna in cui scrive a De Bosio: «T’accorgerai da te, di quanto ho tagliato: praticamente tutta l’inchiesta, che era un modo ancora drammatico e "a tesi", di esprimere una convinzione, che invece risulta espressa solo in quanto è implicita nell’accadere dell’avvenimento. È probabile che le tragedie non s’inventino: esistono; e il fatto tragico è tale proprio in quanto accade e accadendo si brucia e si denuncia».

Del resto Le lombarde si ispira a un reale fatto di cronaca che aveva scosso l’Italia nell’estate del 1947: la tragica morte di più di 40 bambini ospiti di una colonia estiva milanese, al largo di Albenga, dopo un incidente della barca a motore durante una gita in mare. Testori mette in scena il dolore cieco e sordo delle madri portando sul palcoscenico 9 "persone": tre donne che compongono il "coro delle madri", poi la donna di Mantova e quella di Lodi, e ancora tre uomini a formare "il coro dei padri" oltre a un testimone, anche se ad essere protagoniste – come indica lo stesso titolo – sono proprio le donne, "le lombarde".Sottolinea Giuditta Fornari: «La loro presenza è innanzitutto voce straziata. La loro identità viene anticipata dalla donna di Mantova che le riconosce subito come madri ed è poi dichiarata da loro stesse, tramite la prima parola che pronunciano: "figli". La loro è una voce "cieca", come la loro mente, e la donna un’ombra ("ecco: ombra avanzo"). Il dialogo tra un corpo ombra e le voci che riversano la loro angoscia in lamento, contribuisce a rendere l’atmosfera spettrale e impalpabile».Il «Sabato» a Novate riserva altre sorprese, come lo studio e l’analisi filologica su un testo incompiuto di Testori, assolutamente significativo per completare il percorso di attraversamento della figura di san Carlo Borromeo, centrale nella sua opera, iniziato a metà degli anni Sessanta con l’introduzione al Memoriale ai milanesi e poi ampliato e riletto negli anni Ottanta, anche in occasione del quarto centenario della morte di questa grande figura secentesca.

Nel 1975, mentre sta mettendo in scena la "trilogia degli Scarrozzanti" con Franco Parenti, lo scrittore annuncia un progetto teatrale che non realizzerà, La peste di Milano; lo pensa come uno spettacolo "di strada" con protagonista il popolo in un momento drammatico della sua storia, quello della peste secentesca, «una via crucis della popolazione milanese, colpita dal morbo». Daniela Iuppa, nella tesi di dottorato a Roma Torvergata, studiando il rapporto tra Testori e Manzoni, analizza filologicamente il manoscritto custodito dalla Fondazione Mondadori e lo trascrive, mettendo così a disposizione un altro importante frammento di quel lungo viaggio nella pietà del Borromeo che Testori ha compiuto. Vi ritorna l’accorato appello del santo ai sacerdoti, ai nobili e ai notabili, ai governanti e agli addetti ai più umili servizi, a non far sì che la città resti «sola nella sua sconfinata solitudine», per non lasciare «i fratelli morir soli nei bisogni e nella fame che li assalgono»; un san Carlo che implora: «Non è solo la città, non è solo Milano ad aspettarvi e a volervi! È la croce, questa croce! E questo Santissimo Chiodo che v’è incarnato dentro i suoi legni, come voi dovreste essere incarnati dentro i destini del vostro borgo e delle vostre strade; è la Fede; è il Dio; è il Cristo; è la Vergine; sono i Santi, i martiri…; è tutto questo che vi attende, allargando le braccia e supplicandovi!».