Antropologia. Rita Segato: «Lo stupro è il sacrificio del corpo femminile al potere»
Manifestazione contro la violenza sulle donne
Non è “roba di donne”. La diseguaglianza di genere non è una questione di un genere specifico. È l’architrave su cui si reggono le varie forme di dominazione e discriminazione nascoste nell’architettura della società umana. Ecco perché femminicidi e altre forme di violenza sui corpi femminili si perpetuano nonostante gli sforzi giuridici e istituzionali con cui si cerca di combatterli. Anzi, addirittura aumentano in questo tempo di caos globale. Senza un cambio di prospettiva, qualunque innovazione risulterà ornamentale e superflua. Da dove partire, allora? «Occorre portare la questione del patriarcato dai margini al centro del paradigma attraverso cui pensiamo il mondo e cerchiamo soluzioni. E’ nei generi che si traveste la struttura subliminale, in ombra, delle relazioni segnate da un differenziale di prestigio e di potere”, è la risposta di Rita Segato, tra le più autorevoli antropologhe sul tema dell’asimmetria di genere. Argentina di nascita, la studiosa 73enne ha abbinato all’attività accademica – svolta a lungo presso la cattedra dell’Unesco all’Università di Brasilia – il lavoro sul campo nei teatri delle “nuove guerre” che lacerano l’America Latina, dal Salvador al Guatemala. I suoi lavori sono stati fondamentali per comprendere lo sconcertante fenomeno dei femminicidi seriali a Ciudad Juárez. Proprio nella città in bilico tra il Messico e gli Stati Uniti ha elaborato le innovative teorie sul mandato di mascolinità, la finalità espressiva dello stupro e la femminilizzazione dei conflitti contemporanei, contenute in La guerra contro le donne, pubblicato in Italia da Tamu (pagine 316, euro 18,00). «Il compito dell’intellettuale è “donare” le parole con cui decifrare la realtà, svelando quanto debba essere conservato e quanto abolito. Nella convinzione che quanto non è nominato non esiste nell’orizzonte mentale – spiega Rita Segato dalla casa di Tilcara, nel nord dell’Argentina, dove trascorre gran parte dell’anno –. Al contrario, quando diviene parola può essere impiegato come strumento di comprensione, precondizione del cambiamento. Un cambiamento, vorrei sottolineare, vantaggioso per tutti. In primis per gli uomini, le prime vittime del patriarcato o, meglio, del mandato di mascolinità».
Professoressa Segato, spieghi meglio questo concetto. Qualcuno, non conoscendo il suo impegno sociale e i suoi contributi scientifici, potrebbe accusarla di sminuire la sofferenza femminile...
«Lo so. È un’espressione forte che ho impiegato di proposito. E che ha causato non poche polemiche all’interno dell’universo femminista di cui faccio parte. Eppure non ha idea di quanti uomini, giovani o adulti, mi ringrazino di averli aiutati a comprendere la gabbia a cui il mandato di mascolinità li costringe».
Ci aiuti a focalizzare questa gabbia…
«All’inizio degli anni Novanta, le autorità brasiliane mi hanno coinvolto in un progetto di ricerca per comprendere la vera e propria “epidemia” di stupri in atto nel Paese. Tra il 1993 e il 1995, ho intervistato i detenuti del carcere di Brasilia condannati per crimini cosiddetti sessuali. Mi ha molto sorpreso che nemmeno loro sapessero spiegare davvero le ragioni del proprio gesto. Ho così compreso che queste, al di là del caso specifico, dovessero riguardare meccanismi profondi dell’agire collettivo. Quello che appunto ho chiamato “mandato di mascolinità”».
Che cos’è il mandato di mascolinità?
«Nello stupro si intersecano due dimensioni. Una verticale, quella più immediata, tra carnefice e vittima, il cui corpo deve essere “disciplinato”. Quella fondamentale, però, è l’altra, di tipo orizzontale e riguarda la relazione tra gli uomini a cui l’aggressore simbolicamente si rivolge per chiedere loro di essere ammesso nel consesso dei pari in virtù della sua ferocia e del suo potere di morte. Questo perché nel lunghissimo tempo della storia del genere, che si confonde con quella della specie, lo status maschile deve essere acquisito – e riconosciuto dagli altri detentori della virilità – mediante l’esazione di un tributo. Il corpo femminile appunto».
Perché il corpo femminile?
«Perché nell’ordine di genere – diseguale – la donna è percepita come il fornitore di gesti che alimentano la mascolinità. Nell’atto stesso di conferire il tributo, produce la propria esclusione dalla casta che consacra. Attenzione, sono meccanismi atavici e assolutamente inconsapevoli poiché interiorizzati in millenni. Per questo è importante “svelarli” per poter agire a livello istituzionale e politico. Lo stupro risponde a una logica espressiva. E non è un crimine sessuale».
Che cosa intende?
«Il sesso c’entra poco e l’odio per la vittima non è il fattore dominante. Il nodo centrale è il potere o, meglio, la sua asimmetria. Lo stupro viene commesso con mezzi sessuali. L’obiettivo non è tanto, però, conquistare quel corpo bensì dimostrare di essere in grado di poterlo fare, estrarre il tributo per essere accettato nella confraternita virile. Lo stupro è un modo di rispondere al “mandato di mascolinità”».
Come liberare gli uomini da questa gabbia?
«Mostrando loro quanto perdono in termini di affettività, circolarità, possibilità di esprimere le proprie emozioni. Questo tipo di mascolinità vive nel terrore di essere espulsa dalla propria posizione di potere alla minima debolezza. Il punto è che il contesto attuale – con l’inedita rapidità con cui la ricchezza si concentra rende sempre più difficile conservare lo status dominante. La spinta a recuperarlo mediante una maggiore estrazione di tributi è forte. Da qui l’aumento della violenza sulle donne. Ovunque anche se nei teatri delle “nuove guerre” attuali – quelle in cui i principali attori non sono gli Stati bensì organizzazioni armate di vario tipo – questo si manifesta con sconcertante chiarezza».
Per questo parla di “femminilizzazione della guerra”?
«La quasi totalità dei conflitti in corso, dal Medio Oriente all’America Latina, sono “nuove guerra”: in esse il corpo femminile è uno dei principali campi di battaglia. Aggredire sessualmente le donne del gruppo o popolo avversario – a cui spetterebbe il compito di tutelarle o, spesso, l’uso e l’abuso esclusivo – è il mezzo per demolirne il morale. È come collocare una bomba nel centro esatto di gravità di un edificio, ma molto più facile e più economico».