Idee. Riscoprire l'umano, scoperta del sacro
“Nessuno si salva da solo – Pace e fraternità”, incontro di preghiera per la pace promosso a Roma dalla Comunità di S.Egidio il 20 ottobre scorso
Curato da Jean-Dominique Durand, Umberto Gentiloni Silveri, Agostino Giovagnoli e Marco Impagliazzo si intitola Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi (Laterza, pp. 416, euro 28). È un volume per i 70 anni del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, storico ed ex ministro. Propone saggi di illustri studiosi su temi sociali, storici, religiosi e politici a lui cari. Qui anticipiamo un estratto del contributo del cardinale Walter Kasper sull’avvento di un nuovo umanesimo spirituale.
Andrea Riccardi - Ansa/C.Peri
Chiunque faccia una ricerca su Internet si rende presto conto che l’espressione 'umanesimo spirituale' è molto diffusa e ha significati e connotazioni diverse. Il concetto di spiritualità è emerso nel XVIII secolo nel senso di una forma di vita spirituale guidata dallo spirito di Gesù Cristo. In seguito, questa parola ha trovato un’estensione di significato religioso e anche secolare. Si va da un umanesimo spirituale ateo laico, spesso aggressivamente anticristiano, in Joachim Kahl (che è diventato un importante riferimento per l’Unione umanista intitolata a Giordano Bruno) e Richard Dawkins, un pioniere del nuovo ateismo, fino a un umanesimo spirituale confuciano in Tu Weiming, che attribuisce questo termine al filosofo indiano Ramachandran Balasubramanian. A questi si aggiunge anche l’umanesimo socialista, che si spende per l’abolizione dell’alienazione e la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e lo spiritualismo femminista, che nella forma post-cristiana fa riferimento all’energia vitale femminile nel ciclo del cosmo, mentre nella forma cristiana fa riferimento a figure bibliche femminili significative e alla mistica femminile. Infine, c’è l’umanesimo religioso patchwork, che assembla acriticamente pezzi provenienti da religioni diverse, in parte arcaiche, e ha talvolta trasformato il termine «spiritualità» in una parola insignificante che vuol dire tutto e niente, per inseguire le mode. [...]
Dopo il 1968 c’è stato un dibattito fondamentale sull’umanesimo pratico e socialmente impegnato. [...] Gli studenti volevano prendere sul serio l’esperienza, fondamentale nella postmodernità, del disagio nel mondo occidentale illuminato, del fallimento dei sistemi idealistici del pensiero e della fede moderna nel progresso. Con la loro critica radicale al sistema, come lo chiamavano gli studenti che si ribellavano, volevano far girare con forza la ruota della storia ed emanciparsi da tutto il pensiero umanistico occidentale. Ne capovolsero la logica. La pratica non avrebbe più dovuto seguire la visione della verità, ma la verità sarebbe dovuta emergere dalla pratica rivoluzionaria. Tale totale emancipazione dalla tradizione e da qualsiasi autorità, come sottolineato da Olivier Clément, non poteva che portare a un nichilismo caotico e spesso violento. In questo travagliato Sessantotto Andrea Riccardi, ancora studente, iniziò insieme ad altri giovani a leggere la Bibbia nello spirito del Vaticano II e a trarre conclusioni completamente diverse. Anche il Vangelo parla di fare la verità. Solo quelli che fanno la verità vengono alla luce (Gv 3,21). La verità non è una frase astratta, ma la persona Gesù Cristo (Gv 14,9). Senza di lui non possiamo fare nulla (Gv 15,5).
Secondo Henri de Lubac, in queste affermazioni bibliche è espresso il paradosso dell’uomo. Egli non può raggiungere il massimo compimento della sua vita e delle sue aspirazioni con la propria forza, perché tutto dipende dal dono della grazia. Per la Comunità di Sant’Egidio, quindi, l’assioma benedettino Ora et labora, la preghiera e il lavoro o, come si vuol dire, la lotta e la contemplazione, sono diventati fondamentali. Con questo Ora et labora i figli di Benedetto da Norcia costruirono la cultura dell’Europa. Dopo le catastrofi del XX secolo l’Europa può avere un nuovo futuro soltanto sulla base della preghiera e dell’impegno umano. [...] A questo punto possiamo fare un passo ulteriore e scavare un po’ più a fondo. La nostra situazione ci pone di fronte alla necessità di un ripensamento, di un nuovo pensiero (in greco metanoia) e di una fondamentale correzione di rotta (in ebraico shub) a cui Gesù chiamava i suoi contemporanei e le persone di tutti i tempi, compreso il nostro: «Convertitevi e credete» (Mc 1,15). Papa Francesco ha descritto vivida- mente questa conversione fondamentale soprattutto nel sesto capitolo dell’enciclica Laudato si’ del 2015, in cui parla di una nuova spiritualità ecologica. Solo con i miglioramenti e le innovazioni economiche e tecnologiche, per quanto necessari, non potremo padroneggiare la crisi in cui ci troviamo.
Anche le misure che impieghiamo per superarla sono soggette alla dialettica del progresso. Nessuno può garantire che queste misure, frutto di buone intenzioni, non siano soggette a imprevisti, gravi effetti negativi collaterali e di lungo corso. Potrebbe anche accadere che scacciamo il diavolo con Belzebù. Il progresso economico ha portato alla dipendenza dal possesso e a un’ingiustizia che grida fino al cielo per la diseguaglianza tra i pochissimi molto ricchi e gli innumerevoli molto poveri. Questa ingiustizia che grida al cielo è una gigantesca minaccia per la pace nel mondo. L’avidità crea un consumismo che vuole acquisire il più possibile per consumarlo, goderlo e poi buttarlo via. Una tale società dello scarto è uno scandalo immenso. Deride coloro che non hanno nulla e quindi non hanno nulla da buttare via. Portiamo via i loro beni, ma lasciamo loro cinicamente la nostra spazzatura. La nostra avidità, che distrugge la realtà della creazione, rende poveri anche noi stessi. Perché la perdita di libertà per il possesso delle cose rende dipendenti e interiormente vuoti. Avere di più porta a essere di meno. Tuttavia, il motto dovrebbe essere: essere più che avere. Invece di giudicare tutto in base al suo uso e alla sua utilità, dovremmo riscoprire il valore intrinseco delle cose così come l’inviolabile dignità delle altre persone e imparare di nuovo l’antica virtù romana della pietas, l’atteggiamento di timore verso il mondo e le persone. Questo significa che dopo tutte le ondate di secolarizzazione e l’utilizzo tecnico della realtà, dobbiamo riscoprire il sacro in un modo nuovo. Non è semplicemente una realtà ultraterrena; si manifesta nella realtà. In definitiva, è il meravigliosamente inaccessibile e inutilizzabile nella realtà del mondo e delle persone che attrae e affascina, ma che allo stesso tempo ci sfugge, ci tiene timidamente a distanza e preserva così la nostra libertà interiore.
Il sacro è stato giustamente definito come un mysterium tremendum fascinosum, come un segreto maestoso ma attraente. La sua riscoperta ci riporta alle radici dell’umanesimo spirituale. Come cristiani, possiamo trovare Dio in tutte le cose (Ignazio di Loyola) e nel sacramento del fratello (Hans Urs von Balthasar), negli altri, specialmente nei poveri e nei bisognosi, per incontrare il Dio che divenne uomo in Gesù Cristo (Mt 25). Egli ha mostrato la sua onnipotenza nell’impotenza della kenosi, svuotando sé stesso sulla croce (Fil 2,6-9). In questa onnipotenza divenuta impotente, Dio può forzare tutto tranne noi uomini, non potendo costringerci ad adorarlo contro la nostra volontà. In Gesù Cristo vuole essere vicino a noi e a tutte le persone con amore, compassione, e anche con grande tenerezza. Il suo onore è l’uomo vivente. Che cosa è dunque l’umanesimo spirituale nel senso cristiano? L’umanesimo cristiano chiede una conversione profonda, che porta a una riscoperta del sacro e della sacralità nel mondo, particolarmente del sacro in ogni persona umana. Ci invita a una nuova visione cosmica di Gesù Cristo e a incontrare Dio in Gesù Cristo, divenuto uomo debole, nei nostri fratelli e sorelle deboli con compassione operosa e amore preferenziale. Si può anche dire: l’umanesimo spirituale è una mistica non degli occhi chiusi, al mondo e alla sua miseria, ma una mistica degli occhi aperti, che ci porta a vivere con le mani aperte e a correre veloci, cooperando per una nuova civiltà dell’amore. Certo, non giungeremo mai al termine. Ma la saggezza del Talmud insegna: «Chi salva un uomo salva il mondo intero».