Comuni e contribuenti devono rassegnarsi a continuare a pagare la tassa sull'abbonamento ai servizi di telefonia mobile: non riceveranno rimborsi nonostante il settore sia stato liberalizzato. Lo afferma la Cassazione aggiungendo - ed è questa la novità - che è stato corretto, e non costituisce "una interferenza dei poteri esecutivo e
legislativo nell'amministrazione della giustizia", il decreto
legge con il quale il governo è corso ai ripari sul rischio
di restituzione della tassa per centinaia di milioni. Con questa decisione la Suprema
Corte ha ulteriormente "blindato" la tassa governativa sui
cellulari dopo aver preso atto della "permanenza" di
questo balzello per effetto del decreto legge messo a punto dal
governo proprio per scongiurare il rischio di dover ridare agli abbonatì quasi 13 euro mensili di tassa a decorrere dagli ultimi dieci anni.
Ad avviso dei supremi giudici - che hanno respinto il ricorso
presentato dal Comune di Milano, uno dei big della rivolta degli enti locali che aveva messo in
dubbio anche la legittimità del decreto - è, infatti, da
"escludere l'ipotesi" che quanto stabilito dal provvedimento
"abbia in effetti portata innovativa e non interpretativa e
costituisca, quindi, una interferenza dei poteri esecutivo e
legislativo nell'amministrazione della giustizia". Esclusa anche l'ipotesi di una disparità di
trattamento - in violazione della Costituzione - tra cittadini
che pagano la tassa perché abbonati, e quelli che comperano solo
schede telefoniche prepagate e non la pagano.
Secondo i supremi giudici, "la fruizione di servizi di
telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di
abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche
fattuali non sovrapponibili all'acquisto di un certo tempo di
conversazione telefonica mediante ricarica di una carta
prepagata". La differenza
obiettiva tra le due situazioni - concludono gli "ermellini" -
esclude l'irragionevolezza della diversità del relativo
trattamento tributario".