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Storia ed economia. E dalla Riforma emerse il «Capitalismo triste»

Luigino Bruni mercoledì 14 maggio 2014
La Riforma protestante è stata un evento decisivo nell’Europa e nell’Occidente moderno. L’individualismo, il capitalismo, la separazione tra Stati e Chiese, sono fenomeni complessi e tutti legati, in vari modi e per strade tortuose, alla Riforma e alle reazioni a essa. Tesi e temi noti e ormai consolidate. Un po’ meno note e meno consolidate sono le implicazioni antropologiche, sociali, politiche ed economiche associate alla Riforma e ai suoi effetti nella società moderna e contemporanea, effetti in buona parte imprevisti da Lutero, Calvino e dagli altri riformatori. Il libro di Brad S. Gregory, Gli imprevisti della Riforma. Come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società (Vita e Pensiero), si occupa di molte di queste implicazioni, che sono rilevanti anche perché poco studiate ed esplorate dagli storici e dagli studiosi di scienze sociali e politiche. Gregory si trova in compagnia di altri pochi studiosi, tra i quali Charles Taylor, Alasdair McIntyre, Otto A. Hirschman, e in Italia Paolo Prodi, che cercano di spiegare la modernità a partire dall’intreccio tra teologia, religione, economia e politica, un intreccio che ha le radici nell’evento ebraico-cristiano, e poi nel medioevo, ma che ha vissuto una torsione fondamentale negli anni attorno alla Riforma di Lutero (le sue "95 tesi" sono del 1517). Il libro di Gregory è un testo importante per chi ama esplorare questo intreccio, poiché vi si trovano presentate e discusse tesi antiche e nuove, e soprattutto vengono esplorati i dibattiti e i testi che precedettero e seguirono in Europa e poi negli Usa la Riforma protestante, nelle sue diramazione e Chiese: le Riforme furono molte, alcune iniziate anche prima di Lutero, con visioni teologiche e sociali diverse tra loro. Un punto del discorso di Gregory (capitolo 4), che considero davvero centrale e fondamentale, è quello relativo all’etica delle virtù. Fino alla modernità, il medioevo e l’umanesimo avevano posto al centro della vita individuale e sociale l’etica delle virtù, che era una combinazione di etica aristotelica, stoica e di cristianesimo (sintetizzata soprattutto da Tommaso): nonostante i peccati e i vizi, gli esseri umani sono capaci di virtù (cioè di azioni fatte perché buone in sé), e non sono "malati" al punto di perdere la naturale capacità sociale e di agape (l’Adam non veniva cancellato da Caino e Lamek). Con la Riforma, e soprattutto con Lutero, l’anima agostiniana che fino ad allora era stata senz’altro un’anima dell’umanesimo cristiano ma non l’unica né la principale, fu esasperata e prevalse, e con essa prese il sopravvento l’idea che l’uomo fosse talmente malato di egoismo da renderlo di fatto incapace di virtù, quantomeno nella città degli uomini, cioè quella della politica e poi dell’economia. Ecco allora che nei Paesi protestanti si iniziò ad affermare l’idea che gli interessi e l’utilità individuali fossero il vero serio motore dell’azione umana (si pensi a Hobbes, ma anche a Mandeville o Smith), l’unica base robusta per edificarci sopra teorie sociali che spiegassero l’«uomo qual è», e non quelli immaginari della filosofia aristotelico-tomista. Così l’etica delle virtù finì per essere considerata un retaggio della Christianitas medioevale, e quindi associata all’Europa cattolica della controriforma, uscendo così dai grandi luoghi della teoria politica ed economica moderna che restarono quasi interamente di cultura protestante, e distanti dall’etica delle virtù. In questo contesto si comprende meglio, anche se è un tema assente dal libro di Gregory, il significato della tradizione italiana e latina dell’Economia civile, che dal Settecento a oggi è restata invece ancorata all’etica delle virtù, convinta che negli esseri umani ci siano due "forze" entrambe primitive (A. Genovesi), quella egoistica e quella pro-sociale. Questa seconda forza e tendenza «virtuosa» che non è stata mai cancellata dal peccato, e quindi ha bisogno di appositi «premi» (G. Dragonetti) perché non si atrofizzi e si rafforzi. L’etica del nostro capitalismo, insistendo per la sua antropologia riduzionista e pessimista sull’unico registro degli interessi individuali e sulle «passioni tristi», dopo un paio di secoli sta di fatto producendo agenti economici tristi e atrofizzati nella loro capacità di virtù (e quindi di etica del dovere e dell’onore), con i risultati in termini di impoverimento antropologico (e quindi relazionale, ambientale, politico) e diminuzione della "gioia di vivere" che tutti possiamo constatare.Infine, oltre all’assenza del lato italiano della storia dell’Europa (incluso Vico), nel libro di Gregory ci sono domande fondamentali tutte da esplorare, tra le quali: che ruolo ha avuto la Controriforma per lo sviluppo dell’etica pubblica nei Paesi latini? Quali i suoi effetti nell’economia e nella politica dell’Europa cattolica moderna? Quanto le differenze tra il capitalismo Usa e quello Europeo dipendono dagli imprevisti della Riforma?