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500 anni dopo Lutero. Buzzi: «L'umanesimo alla prova della Riforma»

Alessandro Zaccuri martedì 18 ottobre 2016
Dei due centenari uno è alle porte, l’altro quasi agli sgoccioli. Eppure il 1517 non si capisce (non del tutto, almeno) se non si tiene presente il 1516. Prima delle 95 tesi di Martin Lutero sulla legittimità delle indulgenze, infatti, l’anno precedente a Basilea c’era stata la pubblicazione del Novum Instrumentum Omne, ovvero l’edizione critica del testo greco del Nuovo Testamento allestita da Erasmo da Rotterdam con grande abbondanza di apparati e con una traduzione latina che deliberatamente prescindeva dal dettato della Vulgata.  «Il Novum Instrumentum del 1516 è ben noto a Lutero – ricorda il prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, monsignor Franco Buzzi –, che se ne serve nello stesso anno per il suo commento al capitolo 8 della Lettera ai Romani. Cinque anni più tardi, nel 1521, quando in poche settimane Lutero traduce in tedesco tutto il Nuovo Testamento, è ancora del lavoro di Erasmo che fa tesoro, e per l’esattezza della seconda edizione del Novum Instrumentum, apparsa nel 1519 in veste molto accresciuta». È un intreccio che monsignor Buzzi conosce bene. Tra i fondatori dell’Accademia di studi luterani in Italia (Asli), ha dedicato contributi importanti alla stagione della Riforma, senza per questo disdegnare la divulgazione di alto profilo (recentissimo è il sintetico  La Bibbia di Lutero, realizzato in coedizione dalla protestante Claudiana e dalla cattolica Emi, pagine 96, euro 9,50). Da qualche tempo lo studioso è impegnato nella riorganizzazione dei suoi saggi in un’opera complessiva, La porta della modernità, di cui Jaca Book ha pubblicato   nel 2014 il primo volume, intitolato appunto a Erasmo e Lutero (pagine X+292, euro 22,00). Nei mesi scorsi è invece uscito, presso lo stesso editore, il secondo volume, Religione, cultura e scienza a Milano.   Secoli XVI-XVIII (pagine XIV+546, euro 30,00), dove a giganteggiare sono i cardinali Carlo e Federigo Borromeo. Nel terzo, in preparazione, l’attenzione si sposterà sui temi cruciali della felicità e della libertà. Torniamo per un momento all’incontro tra Lutero ed Erasmo? «L’incontro, se vogliamo usare questo termine, avviene sul territorio dell’umanesimo, che riveste un ruolo importante nella formazione di Lutero – risponde monsignor Buzzi –. Penso in particolare ai contatti con i circoli umanistici di Erfurt e Wittemberg, dai quali discende l’interesse di Lutero per una strumentazione che permetta di accedere ai testi in lingua originale. Con un duplice esito: la correttezza filologica da una parte e, dall’altra, il costituirsi della moderna lingua tedesca, che attraverso la traduzione della Bibbia compiuta da Lutero diventa lingua nazionale».E sul piano teologico, invece?«Qui Lutero non può che prendere le distanze dall’umanesimo e, di conseguenza, dallo stesso Erasmo. Nulla è più lontano dalla sua visione del mondo di un antropocentrismo che rende l’uomo padrone del suo stesso destino, elevandolo ad artefice della propria felicità. Un piccolo dio dal quale tutto dipende, compresa l’organizzazione politica della società. Per Lutero questo è inaccettabile, perché rappresenta una diminuzione della gloria di Dio da parte di una creatura che ha tradito la propria vocazione originaria di servire e adorare Dio stesso nella fede».Ma se Lutero è antiumanista, come può essere che il protestantesimo sia considerato illuminista?«Siamo davanti a un equivoco messo in circolo dalla sto- riografia del Novecento e già presente, almeno in parte, in alcuni autori dell’Ottocento, per i quali Lutero sarebbe stato il paladino di una libertà che, per adoperare la terminologia kantiana, consente all’uomo di uscire dallo stato di minorità. Lutero, in realtà, tutto è tranne che un anticipatore dell’illuminismo. Al contrario, nei suoi scritti si trova una chiara denuncia dei rischi derivanti dalla domina ratio, vale a dire da una ragione assolutizzata e trasformata in divinità. Per Lutero esiste una sola libertà, che deriva al cristiano dal dono della grazia, in virtù della quale l’uomo è affrancato da se stesso e dal male. Si tratta di un percorso spirituale, non di un proclama politico: per la fede l’uomo è libero da tutto e serve soltanto Dio, per la carità è servo di tutti in tutto». L’umanesimo avrebbe potuto rappresentare una via per impedire lo scisma tra Lutero e la Chiesa? «Nei primi anni della Riforma una ricomposizione era ancora possibile, ma non attraverso l’umanesimo. E non grazie ad Erasmo, potremmo aggiungere. Lutero ne riconosceva la superiorità in materia linguistica e filologica, ma non ne condivideva affatto le posizioni teologiche. Per quanto, su alcune questioni particolari, le loro convinzioni fossero molto simili».A che cosa si riferisce?«Alle critiche rivolte alla teologia dell’epoca e, nella fattispecie, a una predicazione che si accontentava di ripetere le formule vuote e astratte della tarda Scolastica, senza preoccuparsi minimamente di venire incontro alle autentiche esigenze spirituali dei fedeli. Erasmo è animato da un senso profondo del Vangelo, che per lui si pone in sintonia perfetta con la ragione. Lutero, al contrario, si colloca nella tradizione della teologia agostiniana, che assegna una funzione fondamentale all’azione della grazia. Ecco, l’agostinismo molto più dell’umanesimo avrebbe potuto impedire che si consumasse la rottura con Roma». Vuol dire che in origine le posizioni non erano inconciliabili?«No, in origine no. La sconfessione reciproca avrebbe potuto essere evitata, anche perché la posizione opposta a quella di Lutero, quella cioè che istituisce il primato delle opere rispetto alla grazia, era già stata condannata da tempo sotto forma dell’eresia pelagiana».E allora da dove vengono questi cinque secoli di contrapposizione?«In buona parte dagli sviluppi del pensiero di Lutero successivi allo scontro frontale con Roma. Il problema non è tanto la questione dei sacramenti, ma una visione ecclesiale che disconosce la successione apostolica e svaluta il sacerdozio ministeriale a tutto vantaggio dell’investitura sacerdotale derivante dal battesimo».Papa Francesco ha parlato di Lutero come di un riformatore della Chiesa. «Sì, lo ho fatto inserendosi giustamente in una linea storiografica ormai ben accertata. Oggi sappiamo che Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa. Il suo desiderio era semmai quello di riportare l’unica Chiesa alla purezza delle origini. Il resto, oltre che dell’ostinazione dei teologi, è il risultato dell’azione dei principi tedeschi, i quali da tempo aspettavano l’occasione per sottrarsi dalla sfera di influenza di Roma. Patrocinando Lutero, la nobiltà di Germania non ha fatto altro che favorire i propri interessi».​>>> Ferrario: «Così si può ripensare la Riforma» di Alessandro Zaccuri (12/10)