Berlino, Potsdamer Platz. La folla scorre sotto i grattacieli delle multinazionali. Sono i giorni dell’anniversario della caduta del Muro. Venticinque anni dopo non sembra nemmeno che quella cicatrice di cemento sia mai esistita. Una sequenza di asettici palloncini bianchi è l’installazione che lo commemora. Nessuno o quasi vede la striscia di blocchetti di porfido che ne segna, come un’ombra, il tracciato. Fino a che un nonno ci arriva con la nipotina, un piumino rosa principessa, e le spiega che lì, proprio lì, la città una volta era divisa. Si mettono sui due lati, coi gesti le mostra un di qua e un di là. In mezzo passa la storia. «Stiamo vivendo uno strano momento, in parte è realtà e in parte mitologia». Max Richter è seduto in un locale di Gendarmenmarkt, nel cuore della vecchia Berlino Est. Le architetture della capitale prussiana, ricostruite dopo i bombardamenti, campeggiano ancora nello spazio immenso, ma tutto intorno la città non è più vecchia di dieci anni. «Berlino è una città unica in Europa. C’è moltissima energia, sembra piena di possibilità. È una città non finita, è come un
work in progress». Tra poche ore Richter salirà sul palco della Konzerthaus. In platea ci saranno Gorbaciov, Walesa, il presidente della Germania Joachim Gauck,
frau Merkel. La sua musica è stata scelta per la celebrazione ufficiale della caduta insieme a quella di Bartók e Beethoven.Sull’iPad che il violinista Daniel Hope usa come leggio ci sono i tre movimenti di
Winter, da Vivaldi
The Four Seasons – Recomposed in cui il compositore, nato in Germania nel 1966 ma vissuto fin da piccolo nel Regno Unito, allievo di Berio a Firenze («Mi ha insegnato a rendere la musica più semplice»), ha letteralmente scomposto e ri-composto
Le quattro stagioni. Applicando procedimenti tipici della musica elettronica Richter ha smontato la partitura vivaldiana in segmenti e moduli melodici e ritmici e li ha rimontati secondo una grammatica di stampo minimalista, sfruttando la struttura a
pattern già insita nella musica vivaldiana. Un’operazione raffinata, lontana dalle banalizzazioni del barocco veneziano, premiata dal pubblico al punto che la Deutsche Grammophon ha deciso di ripubblicare l’album del 2012
Recomposed by Max Richter con alcune
bonus track e un dvd della performance live, mettendo sotto contratto di esclusiva il compositore, come una pop star.«In realtà ho scritto
Recomposed per un mio bisogno personale – spiega –. Ho sempre amato le
Quattro stagioni, sin da bambino, come molti: belle melodie, atmosfere drammatiche, tanti colori. Non manca nulla. Ma poi, cresciuto, non sono più riuscito ad ascoltarle. Le trovi ovunque: in tv, in metropolitana, in attesa al telefono... L’amore era finito, mi irritavano. Ma restavano per me un problema, perché capivo dal punto di vista intellettuale che era grande musica, ma non riuscivo a percepirlo, a sentirlo. Ricomporle ha voluto dire guardare dentro il paesaggio di Vivaldi e riscoprirlo per me stesso. È stato come girare attorno a una scultura e guardarla sotto altri punti di vista. Ora posso di nuovo riascoltare Vivaldi. Non ci sono altre musiche verso cui provo la stesso legame emotivo. Per questo penso che questo tipo di progetto per me sia chiuso».Tra i lavori futuri c’è un balletto ispirato a Virginia Woolf per il Covent Garden, le musiche per la nuova stagione della serie tv della Hbo
The Leftlovers, e «un’opera, un lavoro importante, ma non sarà pronta se non tra quattro, cinque anni». Non è la prima, Richter sempre al teatro londinese ha presentato nel 2011
Sum:
Forty Tales from the Afterlives. «Anche se effettivamente in
Recomposed la narrazione è come congelata in un loop, amo raccontare storie attraverso la musica. La vera difficoltà di scrivere un’opera oggi sta nel fatto che i teatri, tanto nel pubblico quanto nella direzione, sono un ambiente molto conservatore, prevenuto rispetto alle aperture di linguaggio». Anche perché in musica le differenze sono sempre più esili: «La caduta del Muro ha avuto effetti anche qui. Prima c’era una polarità chiara e la musica era profondamente coinvolta con la politica e nel dibattito sulla società. Oggi la musica si sta evolvendo oltre queste categorie e ha più a che fare l’esplosione dei media e le nuove tecnologie. Oggi la situazione è molto più complessa, ma anche meno marcata. Il mondo della musica è diventato più democratico. Il suo panorama è decisamente post-ideologico».