Agorà

I "Paperoni". Eccessi di sport. Più ricchi della crisi

Ivo Romano mercoledì 24 settembre 2014
Autentici paperoni. Macchine  da soldi. Campioni dello sport e del conto in banca. Ingaggi, prize-money, sponsor, e chi più ne ha più ne metta. Tanta gloria, ancor più quattrini. Fino all’eccesso. E paragoni imbarazzanti, spesso e volentieri. Pochi fuoriclasse strapagati e il resto a raccogliere briciole, senza dimenticare chi sta nelle retrovie, che talvolta rischia di fare la fame. Oppure campioni ingaggiati a peso d’oro, malgrado il profondo rosso dei bilanci.  Pochi giorni, alcuni esempi, tra i più clamorosi. Pugilato, tennis, golf, calcio: a ogni disciplina, il suo campione coperto di soldi. “Money”, in inglese. Non un caso che così sia soprannominato Floyd Mayweather, forse il miglior pugile del momento, di sicuro il più ricco sportivo al mondo, parola di Forbes, che di certi argomenti se ne intende. Incassi vertiginosi al botteghino e vendite milionarie in pay-per view: la base delle sue borse, roba da far impallidire qualunque atleta del pianeta. Peraltro, senza il sapido contorno di sponsor e quant’altro: tutti i suoi introiti arrivano dal ring. Il conto è presto fatto: negli ultimi 12 mesi (prima del match di sabato scorso), Mayweather aveva incassato circa 80 milioni di euro. Il tutto, restando sul ring per un totale di appena 72 minuti in 2 match. Non che l’unità di misura delle fatiche di un pugile possa essere rappresentata dai soli match: alle spalle, c’è una preparazione (fatta di lavoro, sacrifici, rinunce) lunga e faticosa. Ma il dato resta, ed è più che incredibile. E pure destinato a lievitare: tra il match di sabato scorso e altri due che disputerà nel 2015, Mayweather porterà a casa ulteriori 150 milioni. Del resto, il ragazzo tira, i suoi incontri fanno cassetta. Ma la boxe è in crisi, lontana parente dello sport che fu, soprattutto tra le fine dei ’70 e gli inizi degli ’80. Le tv se ne stanno alla larga, di soldi ne girano pochi: finiscono nelle tasche dei pochi grandi (Mayweather e Pacquiao su tutti), il resto della compagnia vive di briciole o stenti. Serena Williams intanto, la miglior tennista al mondo, s’è preso un altro Slam, l’altra settimana. Quello di casa, l’Us Open. Ma soprattutto ha portato a casa il “prizemoney” più elevato della storia del tennis: 4 milioni di dollari in totale, 3 per il successo nel torneo, un altro per aver dominato le cosiddette Us Open Series. A 32 anni, Serena è ancora la migliore, può permettersi di fare la tennista part-time, continua a rimpinguare il bottino della sua carriera (60 milioni di dollari, il doppio di Maria Sharapova, che la segue nella classifica: cifra che tiene conto solo dei premi vinti nei tornei, poi ci sono le iperboliche cifre delle sponsorizzazioni).  Il tennis non è sport in crisi, come il pugilato. Attrae nuovi mercati (Estremo Oriente, soprattutto), vede crescere il numero dei tornei. Ma un problema resta, sotto il profilo economico: troppa differenza tra i premi per i migliori e quelli per chi si ferma prima. Chi è avanti in classifica incassa tanto, chi è dietro se la cava maluccio. Dal numero 100 in poi, si fatica a far quadrare i conti, tra allenatori (per chi se li può permettere) da mantenere e spese (soprattutto viaggi) da sostenere. Un po’ quel che avviene nel golf. Un esempio, che più attuale non si può. Al recente FedEx, all’East Lake Golf Club di Atlanta, Rory McIlroy, stella del momento, e altri hanno gareggiato per un premio di 10 milioni di dollari. Solita storia: ricchi premi per chi vince, poco o nulla per gli altri. Tanto che spessi i migliori centellinano le loro presenze nei tornei (anche se, una volta ogni due anni, giocano per la sola gloria, nella celebre Ryder Cup).  Altro sport, altra storia: il calcio. Settimana d’esordio (la scorsa) con la nuova maglia, per Radamel Falcao, pezzo pregiato del mercato. Per lui, al Manchester United, uno stipendio di 420mila euro (lordi) a settimana, che al netto fanno 12 milioni l’anno. E solita domanda, quella che si fanno in tanti: un calciatore vale quello stipendio? Domanda senza risposta, considerato che il calcio non ha parametri fissi cui affidarsi per calcoli del genere. Che li valga o no, un dato è certo: certi ingaggi appaiono folli: in assoluto, ma ancor di più se si dà uno sguardo ai bilanci. Profondo rosso, per i grandi club europei: si salvano in pochissimi, Bayern Monaco in testa. Di qui, l’idea di Michel Platini, presidente Uefa: il Fair Play Finanziario. Un modo per legare le spese alle entrate. Perché la strada imboccata era quella del tracollo.