Il concerto. Riccardo Muti: «A Norcia musica per ricostruire la comunità»
Riccardo Muti (Silvia Lelli)
Per raccontare l’atteggiamento del cuore, quello con il quale sabato dirigerà a Norcia davanti alla basilica di San Benedetto, rasa al suolo dal terremoto del 30 ottobre 2016, Riccardo Muti ricorda l’etimologia della parola chiesa, «il termine greco ecclesia. Che dice un essere vicini, insieme, un sentirsi legati e parte di una stessa comunità». Vicini alle popolazioni del centro Italia colpite dal sisma che, prima ad agosto e poi ad ottobre di due anni fa, ha messo in ginocchio Lazio, Marche e Umbria. «Non possiamo dimenticare quella tragedia che ha fatto molte vittime e ha privato il nostro paese di un importante patrimonio artistico» riflette il direttore d’orchestra, protagonista del concerto straordinario nell’ambito del progetto “Omaggio all’Umbria”. Sul leggio dell’orchestra giovanile Cherubini pagine del Macbeth «nel nome del più grande musicista italiano, Giuseppe Verdi».
Nel 2009 un concerto a L’Aquila, nel 2013 tappa a Mirandola, tra le macerie, per Le vie dell’amicizia. Ora Norcia, un altro luogo colpito dal terremoto. Quale messaggio porterà, maestro Muti, sui luoghi feriti dal sisma?
«Portiamo il messaggio dell’arte, della bellezza che può salvare il mondo. In questi casi le parole rischiano di sottrarre potenza ai gesti e di farsi retorica, ma per dire il senso di questo nuovo pellegrinaggio laico mi viene in mente un motto latino, Ianua vatet, cor magis, La porta è aperta, il cuore di più. Perché il nostro cuore di musicisti, di artisti che ricercano la Bellezza è aperto per abbracciare chi verrà ad ascoltarci, gente che ha sofferto per il terremoto. A loro porteremo quella stessa Bellezza che san Benedetto predicava».
Perché proprio la musica per lenire ferite che sono dell’anima, ma che sono anche materiali?
«Perché la musica, qualsiasi musica, se sincera e ispirata porta consolazione. La musica classica, ma anche quella popolare, intrisa di nostalgia e malinconia. Tutte sono capaci di lenire il dolore. La musica che suoneremo, quella del Macbeth, non è una musica che suscita il sorriso, è una musica drammatica, quella che Verdi ha composto ispirandosi alla tragedia di Shakespeare, una musica fosca, dalle colorazioni violente. Una musica che racconta il male assoluto. Il male che erode il cuore dell’uomo. Il coro dei profughi del quarto atto, il celeberrimo Patria oppressa, colpisce chi lo ascolta e sono sicuro che a Norcia farà pensare a tutto ciò che si è perso. Ma non ci fermiamo qui perché Verdi in queste pagine tocca il sublime, offre una speranza, fa trionfare il bene e la giustizia sul male».
La ricostruzione, lo si è sempre detto, passa dalle case, ma anche dal patrimonio artistico.
«Primum vivere deinde philosophari dicevano gli antichi romani. Ed è giusto che prima si pensi alle case, al lavoro, ai servizi. E la politica deve farlo senza inutili sovrastrutture burocratiche e nel segno dell’onestà e della trasparenza senza approfittare delle disgrazie per fare i propri interessi. Ma di pari passo si deve mettere mano al patrimonio artistico. Perché fa ancora dell’Italia un paese guardato con grande rispetto da tutto il mondo. Ma soprattutto perché coltivare il bello non è qualcosa di accessorio, ma nutre l’animo dell’uomo e lo eleva».
Norcia, lo ricordava, è la terra di san Benedetto. L’Umbria quella di san Francesco.
«Due giganti dello Spirito, figure che appartengono a tutta l’umanità, non solo al cattolicesimo perché hanno annunciato valori universali, nei quali gli uomini di ogni continente e ogni fede si possono riconoscere. E che oggi, forse, rischiano di essere dimenticati. Anche dalla società (e dalla scuola in particolare), che non coltiva la memoria, che non propone i grandi esempi positivi, ma preferisce puntare sulla leggerezza: si moltiplicano le notti bianche e le notti rosa all’insegna del divertimento e la cultura va nel dimenticatoio. In questi ultimi anni c’è stata una caduta verso il basso della politica e della cultura: il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, una società che sta diventando sempre più violenta e sempre più intollerante: la bontà, la spiritualità, la dolcezza, la fratellanza, quelle che il mio maestro Vincenzo Vitale chiamava sfumature e delicatezze, sono parole che stanno scomparendo dal nostro vocabolario».
Il concerto di Norcia chiude idealmente l’edizione 2018 dell’Italian opera academy: stesso “libro di testo”, il Macbeth di Verdi, che lei in questi giorni a Ravenna ha sviscerato con giovani direttori d’orchestra da tutto il mondo.
«Abbiamo avuto centinaia di richieste, ne abbiamo selezionati quattro, due provenienti dagli Stati Uniti, uno dall’Ucraina e uno da Hong Kong. E sono diversi i ragazzi che hanno partecipato alle scorse edizioni che hanno vinto concorsi internazionali e sono stati chiamati a dirigere in importanti teatri, forti di questa esperienza di immersione totale nel mondo verdiano. Che, non mi stancherò di dirlo, non è quello dello “zum pa-pa” circense che in molti propongono. Verdi è un autore profondissimo, degno di stare al fianco di Mozart e di Strauss, per i quali tutti nutrono rispetto, ogni sua nota deve essere riempita di umanità e di sentimenti: questo è quello che cerco di trasmettere ai ragazzi. Saranno loro, poi, a portare nel mondo questo modo di interpretare Verdi che nelle sue lettere bacchettava gli interpreti, uno su tutti il famoso direttore Angelo Mariani, che si prendevano certe libertà, variando dinamiche e aggiungendo acuti per compiacere il pubblico».
Una battaglia che lei combatte da sempre. Come quella per la promozione della musica.
«In cinquant’anni di carriera ho parlato tanto, così come hanno fatto illustri colleghi,. E forse la gente può essere stanca di sentire questi appelli. Ma non smetterò di battermi per avere risposte. Spesso mi chiedo perché un paese come l’Italia che ha dato tanto, più di qualsiasi altro paese al mondo, alla storia della musica trascuri questa arte. Perché ci sono città senza teatri? Perché non c’è un’orchestra in ogni regione? Perché lasciamo scappare i nostri giovani diplomati nei conservatori all’estero o li costringiamo a suonare in complessi di musica leggera, in orchestrine che, pur dignitose, non sono forse l’aspirazione massima per chi intraprende un percorso di studi musicali? La musica e la cultura in generale potrebbero essere una grande risorsa economica, un ambito nel quale in molti potrebbero trovare lavoro. Perché la politica non si muove? Ho da poco compiuto 77 anni e prima di lasciare questo mondo mi piacerebbe che a queste domande venisse data una risposta, ma, ancora di più, che la musica fosse presente nella società con il ruolo che le spetta e che merita».