Tra i fatti che segnarono un mutamento di rotta nella lettura della Resistenza ci fu certamente il discorso di insediamento di Luciano Violante da presidente della Camera, il 10 maggio 1996. Quando chiese una riflessione sulle ragioni che, dopo l’8 settembre, portarono molti giovani a scegliere la Repubblica di Salò. Colpì soprattutto che quell’invito venisse da un uomo proveniente dalle fila dell’ex-Pci.
Mattarella invita a non equiparare le parti che si contrapposero. «In quel discorso sostenni che nessuna parificazione è possibile fra chi combatteva dalla parte della libertà e chi stava dalla parte dei vagoni piombati. Ed esclusi i “revisionismi falsificanti”. Sono le stesse cose che oggi dice molto più autorevolmente Sergio Mattarella. Dissi inoltre che bisognava capire le ragioni per cui tanti ragazzi e soprattutto tantissime ragazze, quando era chiaro ormai che il regime della Repubblica Sociale sarebbe crollato, si schierarono dalla parte dei vagoni piombati e non della libertà. Capire non vuol dire giustificare; vuol dire sforzarsi di conoscere. Ci sono state molte falsificazioni di quelle mie parole, e mi stupisce che ne siano protagonisti soprattutto alcuni storici o sedicenti tali».
Di questi vent’anni di tentativi reciproci di comprensione che bilancio si può trarre? «Oggi si accetta senza ipocrisie che in Italia ci fu una guerra civile, fra italiani. Quando Claudio Pavone scrisse il libro su questo tema, nel 1991 (
Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza), fu subissato da critiche e anche da insulti, ma ora è una acquisizione comune. Senza equiparazioni , ripeto, tra partigiani e Salò».
E lei che idea si è fatto, al riguardo, da uomo di sinistra? «Credo che pesò molto l’indottrinamento fascista, che tenne molti giovani , non tutti per fortuna, lontani dai valori della libertà».
Però se Mattarella ammonisce sul rischio equiparazione è perché in questi vent’anni tentativi di questo tipo ci sono stati. «Si è tentato più volte di equiparare chi stava da una parte e chi dall’altra con riconoscimenti parificati. Ma chi militò con Salò sbagliò non perché perse, ma perché difendeva la dittatura nazista. Un altro equivoco, poi, c’è sulle stragi di ritorsione compiute dai nazifascisti, quando si dice che i partigiani dovevano evitare ripercussioni sulla popolazione. Così ad esempio per le Fosse Ardeatine e via Rasella. Ma si dimentica che in Italia c’era un feroce esercito occupante e una guerra di liberazione in corso».
Ma la sinistra deve riflettere su tragedie come Porzûs o il Triangolo della morte. «Certamente; è stato fatto e senza giustificazioni. Sono tragedie proprie delle guerra civili che continuano anche quando cessano ufficialmente le ostilità. E si fanno strada le vendette private».
A Porzûs però si registrò il prevalere del legame col progetto ideologico comunista sull’appartenenza alla nazione italiana. «Sì, un tragico errore storico e politico».
La componente cattolica e liberale impedì una deriva rivoluzionaria e autoritaria? «È una polemica divisiva che non mi interessa. Il contributo dei comunisti in vite umane e condannati dal Tribunale Speciale fu certamente il più rilevante. Ma ciascuno dette alla causa della democrazia il proprio contributo, sia pure con idee diverse sul futuro. Tutti seppero collaborare per dare vita al patto repubblicano che fece rinascere l’Italia».
Senza la lettura diversa dei fatti forse non ci sarebbero nemmeno diverse opzioni politiche. Ma il ricordo della guerra civile dovrebbe almeno insegnare ad abbassare i toni in ricorrenze come queste, non trova? «Nella Liberazione ci sono le radici della Repubblica e della Costituzione. De Gasperi a Parigi, nell’agosto 1946, riuscì ad ottenere condizioni più favorevoli da parte dei vincitori proprio rivendicando il valore della lotta degli italiani contro nazismo e fascismo. È perciò giusto celebrarla con solennità. Senza riaprire antiche ferite, ma con la consapevolezza e l’orgoglio della sua centralità nella nostra storia».