Intervista. Aborto, utero in affitto, famiglia. Renato Zero: «È l'ora della verità»
Renato Zero ha pubblicato il doppio album «Zerovskij»
Una strana stazione ferroviaria senza luogo e senza epoca, diretta da Zerovskij, misterioso capostazione che regola il transito dei treni e interroga i passeggeri, Amore, Odio, Tempo, Morte e Vita: non più concetti astratti ma personaggi in carne ed ossa, pronti a un confronto tenero e spietato con i due viaggiatori di sempre, quegli Adamo ed Eva che siamo tutti noi... È l’ultima avventura musicale e teatrale di Renato Zero, uscito con un doppio disco intitolato Zerovskij... solo per amore, esattamente come lo spettacolo che da luglio a settembre sui palcoscenici porterà un dispiegamento di forze (7 attori, 61 orchestrali, 30 coristi) in un mix di musica e prosa. «Una sorta di “teatro totale” con cui festeggio i 50 anni di carriera», spiega Renato Zero, nome d’arte di Renato Fiacchini, nato a Roma 67 anni fa, quarto dei cinque figli dell’infermiera Ada e del poliziotto Domenico, «persone oneste e vere».
E a questo proposito, la parola che si ripete ossessivamente nei 19 brani di Zerovskij è proprio “verità”, evocata anche nelle sue varianti al negativo (“bugia”, “falsità”). «Comunque sia non sfuggirai, lo specchio ti conosce molto bene, lui...», canta. La sete di coerenza, tema non nuovo per lei, è più urgente in tempi di mistificazione e disorientamento?
«Ci sono tanti che la “verità” la raccontano talmente bene da farla sembrare vera. La truccano, la mandano dall’estetista, qualche trattamento di chirurgia e non è più la verità. Ma il suo grande nemico oggi è l’omologazione, la routine che uccide ogni aspettativa: quando ci si sottomette al rituale del pensiero dominante, che pare definitivo e non suscettibile di varianti, si uccidono il cambiamento e la genialità. Tutti nel vivere abbiamo un “cartellino” ma ognuno si timbri il suo, non possiamo essere felici per diporto, accontentarci di essere spettatori, emozionarci solo per il vivere altrui... invece questi social forniscono gli alibi per il pianto e il divertimento fasulli, perché se non li hai provati tu sulla tua pelle sono puro voyeurismo, la più grande bugia».
Vari passaggi esaltano la debolezza contro il mito odierno della perfezione e dell’io («L’idea di noi supereroi è l’ultima eresia»). Fa a pugni con un mondo che scarta il debole, vende il feto, nega cure al disabile. In Danimarca la stampa ha annunciato l’obiettivo di diventare entro il 2030 l’unico Paese al mondo "Libero da Persone Down"...
«È una delle cose più orribili. Ancor più visto che la Danimarca è un Paese con una densità di popolazione tale che potrebbe farsi carico tranquillamente di tutti i disagi umani, anziché spingersi a questa anagrafe selettiva. Io resto sconvolto, ma dobbiamo stare attenti anche allo stupore, così comune da assuefarci: all’inizio fa male, ci ferisce, poi pian piano non si riaffaccia più».
E così chi non ha voce non fa più notizia. Si parla per un giorno del neonato gettato tra i rifiuti, nemmeno una riga per i centomila bambini abortiti ogni anno in Italia... Come giudica una società tanto ipocrita?
«Penso alla 16enne che a Trieste dopo il parto ha lasciato la sua bambina a morire tra i calcinacci e provo molta pena per lei. A quell’età non è chiaro il confine tra il crimine e la fragilità, ma in futuro la coscienza di quella creatura sarà messa a dura prova. Quanto all’aborto, purché nella buona fede io sono sempre per il libero arbitrio, ma in un’epoca in cui c’è la possibilità di evitare certe conclusioni – e mi riferisco a una pratica più attenta, non necessariamente ai contraccettivi – è gravissimo che l’aborto sia diventato un “anticoncezionale”. Io sarei in imbarazzo a giudicare una donna che interrompesse la gravidanza dopo uno stupro, ma ormai l’aborto è una regola di una semplicità così sfrontata che francamente dobbiamo interrogarci».
Lei canta spesso le relazioni, tra padre e madre, tra genitori e figli, tra giovani e anziani. Lo fa anche il capostazione Zerovskij?
«Nella canzone Colpevoli do una scossa ai genitori troppo assenti, che lasciano fare e non si accorgono dei loro figli allo sbando. (“Di tanti alibi che te ne fai... ti arriva il conto prima o poi”). La cronaca racconta di giovanissimi che come niente massacrano un coetaneo, spingono un anziano nel fiume, danno fuoco a un clochard con una leggerezza... Anche se lavora, un genitore deve accorgersi se suo figlio ha preso una brutta piega. Mi dispiace ma accollo una forte responsabilità alle famiglie, che hanno rinunciato al dovere dell’antico buon senso».
«Estasiarsi si può, ma quelle polveri no». Di nuovo contro corrente: è la risposta a chi inganna i giovani e dice che droga è bello? («È dura crescere se chi ti alleverà ti mente»).
«Sono corso dietro a tanti di quei ragazzi e fortunatamente tanti ne ho riportati a casa. La droga? Non è accessibile nel regolamento del mio condominio: ho vissuto sulla mia pelle il dolore di amici ridotti come larve, ho visto i danni permanenti, e anche dove c’è un recupero è comunque perduta la gioia di una vita fatta di piccole e vere sensazioni. Se odoriamo tutto il giorno petrolio, non sentiremo più i profumi della margherita. Il brano Ti andrebbe di cambiare il mondo? è un manifesto, dice che dopo gli errori è necessario rimediare, chinarci a raccogliere la carta... anche se a gettarla è stato un altro».
Putti e cherubini S.p.A è un testo sorridente ma anche molto serio: angeli che si occupano delle persone sole, rimettono in sesto le anime... Che idea le è venuta?
«S.p.A sta per “solo per amore” ed è una società che metterò in piedi durante lo spettacolo, col Padre Eterno, senza scopo di lucro. Avrete delle sorprese, per questo ho voluto che Odio, Amore, Vita, Morte e Tempo fossero in carne ed ossa, per ascoltare dalla viva voce le loro vere nature, e si riveleranno molto diversi da come li immaginiamo. Il tutto avviene in una ferrovia perché se pensi a un viaggio ti viene in mente il treno, il mezzo più rassicurante: le rotaie sono una culla, non permettono di sbagliare strada. Fin da piccolo ho avuto un amore sviscerato per i treni».
È uno spettacolo (e un disco) da cui traspare la fede. Anche perché con passeggeri così...
«La fede è radicata nell’essere, poi c’è chi non riesce a farla emergere, chi ha bisogno del miracolo, del segnale. Io ne ho avuti molti e questo mi fa provare rispetto per la Morte, che non è nulla di pessimista ma il modo spontaneo di offrire all’umanità la sua seconda opportunità. Com’è risorto Cristo, già in vita risorgiamo tante volte, chi ha fede si rialza, chi non crede soccombe, è destinato alla consumazione temporale del suo mandato. Ho cari amici che non credono, ma noto in loro un certo disagio se sono di fronte al credente, come se a loro piovesse sempre in testa mentre l’altro ha il sole, e in fondo è vero: la fede è un paracadute meraviglioso».
Espliciti gli appelli a smarcarsi da «burattinai e falsi cortei». Qual è la sua posizione sull’utero in affitto e la compravendita di neonati?
«La cosa bella di un figlio è la sua imprevedibilità, la magia di una promessa che fiorisce. Quando mettiamo al mondo un essere non ne siamo proprietari, abbiamo solo favorito il suo intervento sulla terra, e questi bambini, tolti alle madri dopo il parto, non sono orfani, ce l’hanno una mamma ma non sapranno mai chi è. La coscienza in alcuni pare essersi addormentata e allora fare leggi non basta, occorre istruire, restituire una consapevolezza oggi approssimativa. Volere la fotocopia di se stessi non è essere genitori, desiderano un figlio da amare? Esistono milioni di bambini che muoiono di inedia e solitudine, li adottino, io l’ho fatto. Spero nella riconversione delle coscienze».