Agorà

CINEMA. Redford a caccia di verità sull’assassinio di Lincoln

Luca Pellegrini sabato 18 giugno 2011
La giovane Unione degli stati americani annaspava ancora verso la pace con i Confederati, nell’aprile del 1865, dopo anni di carneficina, quando in un teatro di Washington  – con le trattative di pace ormai a buon punto – l’attore sudista John Wilkes Booth al grido emblematico di Sic semper tyrannis bersagliava Abraham Lincoln di un fatidico colpo di pistola. Il primo e non ultimo assassinio di un presidente americano.Al di là del fatto, da tutti conosciuto, poco si sa della cospirazione che lo ha preparato. Per questo la nuovissima American Film Company – creata per produrre film sulla storia americana – ha preso proprio questo episodio per inaugurare il suo impegno, affidando la regia di The Conspirator – in Italia dal 22 giugno – a Robert Redford, che ha sempre fatto dell’impegno civile e morale la bandiera della sua attività artistica. Con grande linearità i fatti sono raccontati prendendo a cuore una finalità che va oltre la semplice conoscenza storica: concentrandosi sul processo che seguì quell’omicidio e il suo verdetto. Perché è certo che in quei giorni difficili si scontrarono ancora una volta la ragion di stato – rappresentata dal ministro della Guerra Edwin Stanton, interpretato da Kevin Klein – che pretendeva capri espiatori per evitare altri traumi nazionali – e la giustizia, evocata da una fresca e fragile Costituzione e difesa dal giovane avvocato Frederick Aiken (James McAvoy), già valoroso soldato nella guerra civile. Al quale capitò anche, in questo suo primo e ultimo compito forense – divenne poi uno dei primi redattori del Washington Post e morì giovane – di porsi in gioco come cittadino, come americano e come uomo, visto che le sue scelte gli procurano enormi guai.«Il film, attraverso le fasi del farsesco processo ai cospiratori e gli squarci aperti sui fatti pubblici e privati che lo generarono e accompagnarono – spiega Redford – si interroga anche sulla vita delle persone, sui loro ideali e sul futuro delle istituzioni, analizzando le ragioni degli uni e degli altri fino alla tragica conclusione cui si approdò, condannando all’impiccagione Mary Surratt, la prima donna americana condotta su un patibolo e difesa proprio da Aiken». Dietro di lei una famiglia e una fede, ma anche il dubbio, ancor’oggi tale, del suo effettivo coinvolgimento nella cospirazione, perché proprietaria di una pensione dove i congiurati si riunivano.Attraverso le poche parole di Mary, interpretata nobilmente da Robin Wright, si partecipa della sua forza e della sua solitudine, nel diniego totale a sacrificare il figlio – coinvolto, fuggito e scampato al processo – e sacrificare, invece, se stessa. Non importa se Redford, in questa accurata ricostruzione, volutamente tralasci originali spazi di regia: importa che una madre e una nazione, una legge e un governo, trovino un autore capace di farli emergere nelle loro fragilità, caducità e limiti, interrogandosi così anche sul nostro presente.