Champions. Real Madrid galattico, Juve disintegrata
Una cosa fatta bene può essere fatta meglio, ripeteva l’avvocato Gianni Agnelli. Che amava profondamente la Juve, la sua creatura vincente, rimasta tale, rimasta al palo nella notte di Cardiff, quella più importante, della consacrazione, del “meglio” che intendeva l’avvocato, che invece non è arrivato. Nemmeno stavolta, nemmeno ora che (quasi) tutti orientavano i pronostici in direzione Torino.
Complice l’ascesa del pragmatismo bianconero, irresistibile in terra nostrana, che contro la Grande bellezza del Real sembrava bastare, prevalere, fornire un indirizzo certo. La Juve campione d’Italia, vincitrice della Coppa Italia, perde malamente per 1-4 la finale contro i Blancos dell’ex Zinedine Zidane. Illudendo chi credeva nel definitivo salto di qualità europeo, chi pensava al sospiratissimo Triplete, ovvero il successo totale, assoluto, irripetibile.
Quell’epico Triplete che in Italia è riuscito solo all’Inter di Josè Mourinho, anno 2010. Gli Allegri’s perdono la finale di Champions, la seconda in poco tempo contro una squadra spagnola, dopo quella di due anni fa contro l’insuperabile Barcellona dei Fenomeni.
Altre sette volte, per la Juve, è finita in questo modo. Sconfitta in dirittura d’arrivo, ad un soffio dalla gloria. Stavolta pareva tutto diverso. Una storia che poteva, doveva prendere una piega bella, finalmente a lieto fine. Max Allegri, in totale empatia con squadra e società, è riuscito nella costruzione di una creatura quasi insuperabile, 3 reti prese in 12 partite di Champions, prima delle 4 incassate nella finale, quelle di Cristiano Ronaldo (2)- Casemiro- Asensio, con il bellissimo goal di Mandzukic in rovesciata in mezzo. C’erano fondate speranze attorno alla Juve figlia della compattezza, dell’organizzazione, della bulimia sportiva che non conosce dieta, nemmeno dopo sei scudetti di fila.
Prima di essere travolti, i ragazzi di Allegri erano partiti forte, pressing alto, le occasioni di Higuain e Pjanic. Il Real ha replicato con un giro-palla elegante, troppo orizzontale, inizialmente un po’ prolisso. E’ stata la gara della paura, dei ritmi lenti, poco ragionati, squadre lunghe e (soprattutto) pedalare. Juve e Blancos hanno giocato d’istinto, non di tattica, nemmeno di strategia. Non c’è stato il tempo di studio, nessuna ha prese le misure dell’altra. E così, almeno per un tempo, è stata una gara aperta, informale, nessuna prevalenza.
Poi è salita in cattedra la tecnica madridista, forse la maggior abitudine ai palcoscenici continentali. La Juve è uscita strapazzata, a testa alta, ma ancora ridimensionata nel torneo che la vede sempre impreparata di un soffio. Restano le incognite del futuro, la consapevolezza che le colonne di questa squadra, Buffon e compagni di difesa in primis, potrebbero non avere altre possibilità.
Allegri ha vinto tanto, ma non tutto. La finale di Cardiff potrebbe essergli fatale. Nel calcio le storie d’amore finiscono per un nulla, soprattutto nelle ore della delusione. Sarebbe ora sbagliato, ingeneroso parlare di insuccesso. I bianconeri sono sempre là, competitivi in ogni competizione, l’Europa però accelera pensieri inevitabili, di modifiche, di cambiamenti. La Juve vuole vincere tutto, lo disse l’avvocato Agnelli. Sarà arduo migliorare questa squadra. Sarà doveroso, penserà nella notte di Cardiff il nipote Andrea