Biblica. Ravasi racconta la rivoluzione di Paolo
Peter Paul Rubens,“San Paolo”. Madrid, Museo del Prado
«Paolo è qui, oggi, fra noi. Egli demolisce rivoluzionariamente, con la semplice forza del suo messaggio religioso, un tipo di società fondata sulla violenza di classe, l’imperialismo, lo schiavismo»: è uno dei passaggi dell’abbozzo di sceneggiatura che Pier Paolo Pasolini scrisse pensando di realizzare un film su san Paolo. Progetto mai realizzato – ma esiste il libro pubblicato postumo da Garzanti nel 1977 – che viene assunto «quasi a fondale del nostro itinerario» nel nuovo libro di Gianfranco Ravasi Ero un blasfemo, un persecutore e un violento. Biografia di Paolo (Raffaello Cortina Editore, pagine 194, euro 19,00), da domani in libreria. Quello di Pasolini, per il biblista e cardinale, «è un invito a staccare Paolo da un mosaico absidale o dalle pagine agiografiche o dai saggi rigorosamente esegetici per farlo scendere nel nostro presente secolarizzato».
Il regista immaginava l’Apostolo delle genti immerso nel mondo contemporaneo – siamo nel 1967- 68. La sua predicazione si svolge a New York, centro del capitalismo e del potere politico-economico mondiale, che ha preso il posto dell’antica Roma, mentre il cuore religioso e culturale è Parigi e non più Gerusalemme. Certo, avverte Ravasi, quella di Pasolini è anche una presa di distanza dalla Chiesa del tempo, a suo dire troppo legata al potere e dimentica del vero spirito evangelico. In un certo senso, anche la rilettura in chiave filosofica della figura di Paolo operata da diversi pensatori contemporanei, fra i quali Derrida, Foucault, Badiou, Zizek, Vattimo, Cacciari e Agamben, va nella direzione del progetto dello scrittore friulano. Era stato Jaspers a vedere Paolo come un grande pensatore degno di figurare nei manuali di filosofia, mentre Badiou e Zizek si sono spinti a proporre un’interpretazione materialistica delle sue epistole, rilettura sostanzialmente neomarxista. Ma quella di Paolo è una filosofia che si fa antifilosofia, come emerge dal famoso Discorso all’Areopago, in cui si confrontò con alcuni pensatori greci del tempo. Ravasi sottolinea l’abbondanza di citazioni di autori greci da parte di Paolo, ma mentre l’apostolo fu ascoltato quando spiegò loro i tratti del Dio cristiano («In Lui ci muoviamo, viviamo ed esistiamo»), venne lasciato da solo allorché si mise a parlare della resurrezione della carne. L’incontro di Atene si concluse con uno smacco per Paolo.
Il libro del cardinal Ravasi è ricco di riferimenti alla letteratura, all’arte e al cinema appunto, da Michelangelo a Caravaggio, da Werfel a Testori, da Tarkovskij a Rossellini, ma è soprattutto un omaggio complessivo alla figura di Paolo che consente di rileggere a tutto tondo la sua avventura, senza disgiungere l’azione missionaria e l’impalcatura intellettuale. Rilevandone anche i tratti umani del tutto caratteristici, tanto che un biblista fine come Daniel Marguerat lo interpreta come «l’enfant terrible» del cristianesimo. Da parte sua Giovanni Crisostomo scrisse che «Paolo tutto invade e tutto trasporta alla verità» e che «balzava in ogni luogo senza interruzione, più veloce del vento. Governava come fosse una sola casa o una sola nave il mondo intero». Bossuet lo esaltò come «colui che non lusinga le orecchie ma colpisce dritto al cuore», mentre Mario Luzi ne parla come di «un uomo venuto da una crisi planetaria» e Derrida lo inquadra attraverso due aggettivi: «Questo dolcissimo, terribile Paolo».
Nel volume, in cui Ravasi prende chiaramente le distanze dall’improvvida definizione attribuita a Paolo di fondatore o inventore del cristianesimo, com’è accaduto con Nietzsche, Renan e Gramsci sino a un più recente libro di Augias, si mettono al setaccio le 13 lettere a lui attribuite così come gli Atti degli apostoli, nella cui seconda parte Paolo è protagonista. Qui non possiamo riassumere tutte le piste di lavoro del cardinale, ma possiamo focalizzare l’attenzione su alcuni temi rilevanti che vengono rimarcati. Come l’originalità cristiana, «anzi la sua forza provocatrice nei confronti delle due culture dominanti», quella ebraica e quella greca. Si tratta di «un cristianesimo cosmopolita, transfrontaliero, interculturale, interetnico, persino interclassista e intersessuale». Ad esempio sulla schiavitù e sul rapporto fra l’uomo e la donna, se alcune sue frasi sono indubbiamente legate alla cultura dell’epoca, che nell’impero romano vedeva gli schiavi tranquillamente accettati e la donna sottomessa, Paolo compie una vera rivoluzione, come scrive nella prima Lettera ai Corinti e in quella a Filemone. E ai Galati dice: «Non c’è giudeo né greco, né schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Altre questioni rimbalzano qua e là, dal rapporto fra corpo e anima, in cui viene ribaltata l’idea dell’immortalità dell’anima propria della cultura greca a favore del concetto nuovo della resurrezione della carne, al discorso escatologico. Ai Tessalonicesi, pervasi da suggestioni apocalittiche, l’Apostolo suggerisce di non cadere nella tentazione di fare previsioni sulla fine del mondo. Nella Seconda Lettera c’è anche il famoso e misterioso riferimento al katéchon, la forza che si oppone al trionfo dell’iniquità. Per Ravasi «è la stessa volontà divina che governa la storia e che controlla il male».
Infine, non può non risaltare la forza anche poetica di Paolo, come emerge dal meraviglioso inno alla carità della Prima Lettera ai Corinzi, che il regista polacco Kieslowski pone a suggello del suo Film blu con Juliette Binoche, o da quello sulla kènosis contenuto nella Lettera ai Filippesi, con la visione grandiosa della passione, morte e resurrezione di Gesù, che in qualche modo rivive nell’epistola ai Colossesi, che «introduce un nuovo profilo di Cristo – rileva Ravasi– come Signore cosmico in cui tutto sussiste, tutto è riconciliato e redento».