Arte. Raul Gabriel: «Polistiroli e muri, cerco la gloria nel marginale»
Raul Gabriel, "Glorious", particolare, pittura sintetica su polistirolo
Si può glorificare il nulla senza essere nichilisti: anzi il nulla può rivelarsi il luogo della più splendente delle verità. Ne è convinto Raul Gabriel, che intitola “The glorious nothing” il progetto promosso a Milano dalla Fondazione Rivoli2 da oggi (inaugurazione ore 18.30) fino a domenica presso il teatro Pacta dei Teatri (via Dini, 7), per l’occasione interamente occupato dall’artista. Gabriel porta una serie, particolarmente radicale, di lavori su polistirolo mentre all’esterno avvia un intervento permanente che verrà completato in primavera. Venerdì sera è prevista una performance con l’oboista Simone Toni.
I polistiroli di Raul Gabriel nascono da grandi lastre destinate a coibentare muri e poi scartate. Enormi pannelli bianchi e macchiati, il materiale più inerte e ottuso immaginabile. Gabriel vi riconosce invece una preziosità intrinseca e diventano fonte di rivelazione. Li lavora con colle epossidiche e solventi, dà forma a immagini potenti ma sulla soglia della decomposizione, in una sorta di mistica del degrado. I liquidi chimici, come acidi, scavano le lastre; ma non è scultura: il gesto pittorico conquista drammaticamente la terza dimensione. «Il nulla del titolo è riferito alla povertà, al marginale, a quello che si vede solo come degrado. La gloria del marginale è esattamente come la gloria del materiale ricco: la preziosità sta nella sua verità. Non è una operazione poverista, né un ready made: non è una tesi ideologica o sociale, ma estetica. I bianchi dei polistiroli sono di uno splendore che nessun bianco di titanio può dare. Mi sono innamorato dei gialli e dei verdi delle colle epossidiche, più belli dei pigmenti tradizionali. Ho esplorato le possibilità dei polistiroli di essere pittura vera, pittura “grande”». I polistiroli diventano un campo di libertà assoluta perché privo di vincoli e privo di “beni”. «I polistiroli sono l’immagine perfetta di come quel nulla assoluto riveli la purezza dello sporco che è ciò che ci tiene in vita e che aspetta il suo riscatto in una trasfigurazione mai compiuta».
«La materia, materia d’uso, e dall’uso attraversata – commenta Elio Franzini, presidente della Società italiana d’estetica, che firma un testo critico – impone allo spettatore una nuova percezione, mettendo in gioco una sottile relazione tra visibile e invisibile, tra realtà e immaginario, tra tecnica e fantasia. Gabriel inaugura uno spazio ribelle dove il corpo esce dai suoi confini e si trasfigura in una forma che ha sempre in sé la dinamica di una forza. E un’incredibile innocenza».
L’intervento sul muro perimetrale, che interessa un tratto lungo 50 metri, ha come «idea alla base realizzare un lavoro pubblico – dice l’artista – come se fosse un lavoro intimo, per identificare anche un differente rapporto con la città. Ciò che arricchisce la città non può limitarsi all’essere decorativo: deve essere significativo. Solo in questo modo è possibile tentare di superare la discontinuità che esiste tra individuo e tessuto urbano». L’edificio, il primo teatro metropolitano di Milano, è nel quartiere di Chiesa Rossa, ai confini della città. Raul Gabriel ha avviato un lavoro di intepretazione del muro, coperto di scritte e graffiti, interagendo con colore e scarti di lavorazioni industriali: «La maggiore parte degli interventi di riqualificazioni sono di tipo estetizzante, il tentativo di addolcire la durezza della periferia. Qui invece non si abrade la storia, anche violenta, di disordini e scontri ideologici. Voglio rintracciare, come un rabdomante, una possibile trama estetica di questo vortice casuale. Senza idee precostituite, non voglio essere influenzato dalla mia storia ma da quella della città».