Il teologo e poi cardinale Joseph Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, si è occupato di teologia praticamente per tutta la sua vita ed è certamente una delle voci più alte e significative della teologia contemporanea, che con l’elezione al soglio pontificio ha acquisito un ulteriore, straordinario motivo di autorevolezza. È buona norma, quando cerchiamo di cogliere il senso complessivo di una grande impresa intellettuale e umana, informarci anzitutto di come la concepisca il suo autore. Assai indicative al riguardo sono due brevi affermazioni di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. La prima è contenuta nel libro La mia vita (pp. 92-93): differenziando la sua teologia da quella di Karl Rahner, Ratzinger scrive: «Io, al contrario, proprio per la mia formazione ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico». Molto più recente è la seconda affermazione, che si può leggere nella prefazione di Benedetto XVI al primo volume della sua Opera omnia: «La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata […] anche il centro del mio lavoro teologico. Come materia specifica ho scelto la teologia fondamentale, perché volevo innanzitutto andare fino in fondo alla domanda: perché crediamo? Ma in questa domanda era inclusa fin dall’inizio l’altra sulla giusta risposta da dare a Dio, e quindi anche la domanda sul servizio divino». Sacra Scrittura, Padri della Chiesa e liturgia sono dunque l’humus vitale della riflessione teologica di Ratzinger, ma proprio a partire da qui egli affronta, senza sconti, la questione della verità – e della bellezza e «vivibilità» – della fede cristiana, nell’attuale situazione storica e in rapporto alle forme di razionalità e ai modi di intendere la vita oggi prevalenti. Fin dalla sua prima prolusione accademica, tenuta all’Università di Bonn nel giugno 1959 e dedicata al Dio della fede e al Dio dei filosofi, Ratzinger dà forma ed espressione al nucleo fondamentale della sua teologia: l’Assoluto, che i filosofi greci avevano in qualche modo riconosciuto, ritenendolo però inaccessibile agli uomini, è in realtà il Dio degli uomini, il Dio che ci parla e ci ascolta, il Dio che in Gesù Cristo si è dato totalmente per noi. Tra fede e ragione vige pertanto un rapporto profondo e indistruttibile, e il cristianesimo può a buon diritto presentarsi come la «religione vera». Inoltre, come il Logos divino è identicamente l’Agape, l’Amore originario e la misura dell’amore autentico, così la verità cristiana trova la sua espressione concreta nell’etica dell’amore del prossimo, nella cura dei sofferenti, dei poveri e dei deboli, al di là di ogni differenza di condizioni sociali. La forza che ha permesso l’espansione missionaria del cristianesimo risiede dunque nella sintesi che esso ha saputo realizzare tra ragione, fede e prassi della vita. Questa sintesi, e la connessa rivendicazione di verità del cristianesimo, hanno retto attraverso i secoli e il passaggio delle culture, ma con l’epoca moderna sembrano sempre più superate. «Al termine del secondo millennio – scriveva il cardinale Ratzinger in Fede Verità Tolleranza (p. 170) – il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua diffusione originaria, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità». L’impegno centrale del lavoro teologico dell’attuale Pontefice è essenzialmente rivolto a uscire da questa crisi. A tal fine egli ha analizzato a più riprese le ragioni storiche delle attuali difficoltà, non nascondendo affatto quelle interne al cristianesimo e alla Chiesa: con il passare dei secoli, infatti, il cristianesimo era purtroppo diventato in larga misura tradizione umana e religione di Stato, contrariamente alla propria natura. È pertanto merito dell’Illuminismo aver riproposto, per lo più in polemica con la Chiesa, quei valori di razionalità e libertà che trovano alimento nella fede cristiana. Ma lo sguardo di Ratzinger, più che all’analisi del passato, è rivolto ad aprire alla fede le strade del futuro. «Allargare gli spazi della razionalità» è la formula che indica la fondamentale direzione di marcia. La razionalità scientifica, basata sull’esperimento e sul calcolo, e la critica storica, per quanto importanti e irrinunciabili, da sole non bastano infatti a soddisfare il nostro desiderio di conoscere e a dare un senso e una direzione alla nostra esistenza. In concreto Ratzinger contesta sia la pretesa di fare della teoria dell’evoluzione una spiegazione almeno potenzialmente universale e autosufficiente di tutta la realtà sia la tendenza della critica storica a ridurre la figura di Gesù a un’evanescente sommatoria di ipotesi storiografiche. È necessario invece aprirsi, in un atteggiamento di «ascolto umile», a Dio che ci interpella attraverso la creazione e che, soprattutto, ci ha manifestato il suo volto in Gesù Cristo. Anche oggi, inoltre, il cristianesimo deve mostrarsi come proposta di vita buona e autentica, come la migliore opportunità che è offerta all’uomo di trovare speranza, felicità e gioia. Perciò la teologia di Ratzinger-Benedetto XVI si occupa in modo approfondito delle grandi problematiche etiche e storiche del nostro tempo. Le sue analisi del relativismo e della sua «dittatura», che minaccia di essiccare la linfa vitale della civiltà europea, e d’altra parte l’impegno a proporre in termini idonei al contesto attuale la grande eredità morale e culturale che ci viene dalla nostra storia, rappresentano un contributo straordinariamente rilevante offerto non solo ai credenti ma a chiunque voglia affrontare responsabilmente le sfide che stanno davanti a noi. Quanto mai suggestiva e feconda è in particolare la proposta formulata da Ratzinger nella relazione tenuta a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II. Egli cioè propone a coloro che non riescono a credere di «vivere come se Dio esistesse»: «Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno». Abbiamo visto come la liturgia sia sempre stata per Benedetto XVI l’attività centrale della sua vita e il centro del suo lavoro teologico. Anche nel trattare le problematiche etiche e storiche egli non indulge mai a un moralismo che affiderebbe il superamento delle difficoltà principalmente allo sforzo morale del singolo o della collettività. Decisiva rimane sempre l’azione gratuita di Dio, la presenza nella nostra vita del suo amore e della sua misericordia. Perciò la preghiera, in particolare la preghiera liturgica in cui la Chiesa unita a Cristo prega e loda Dio, rimane la risorsa più grande di cui, anche oggi, l’umanità possa disporre.