Festival di Sanremo. Ranieri & Morandi. Ricordi e ballate di vecchi marinai
Ci sono due ragazzi che si sfidano sul palco dell’Ariston, e si chiamano Gianni Morandi, 77 anni, e Massimo Ranieri, 70 anni. Rivali quando erano degli adolescenti negli anni 60, si ritrovano a «combattere» per emergere in mezzo a un plotone di agguerritissimi adolescenti che viaggiano verso il podio, forti di milioni di streaming (basti vedere i favoritissimi Mahmood e Blanco che hanno collezionato 3 milioni e mezzo di streaming in sole 24 ore).
Ambedue confessano la grande emozione per essere tornati in gara a Sanremo dopo oltre un quarto di secolo. La prima sera Gianni si è commosso fino alle lacrime e Massimo ammette di essersi lasciato vincere dall’emozione nell’interpretazione. Ma quello che ha stupito tutti e due è la sicurezza sul palco dei giovanissimi. «Ero io che chiedevo consigli a Blanco e alla Rappresentate di Lista – dice stupito Morandi – . I ragazzi di oggi son talmente preparati, forti, sanno muoversi sulla tecnologia. Noi non possiamo insegnargli niente, neanche a stare sul palco».
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E Massimo Ranieri rincalza: «Invidio molto i ragazzi di oggi. Entrano sul palco con quella sicurezza e libertà che provavo io 54 anni fa, che era incoscienza. Per loro Sanremo è una manifestazione come tante altre. Alcuni sono molto bravi, gli auguro lunga vita artistica e di capire l’importanza delle cose più avanti. Anche io a Sanremo nel ’68 ero un incosciente. Stavo in mezzo a giganti come Armstrong, Battisti, Modugno, Tony Renis. Ero imbambolato».
Ora che i grandi della musica sono loro, Morandi e Ranieri giocano sulla loro antica rivalità. «Noi eravamo definiti i Rivera e Mazzola dell’epoca. Siamo sempre rivali, ma sempre grandi amici – spiega Ranieri – La prima sera all’Ariston mi sembrava di essere nei corridoi del Delle Vittorie a Roma. Allora Gianni ed io ci chiudevamo in camerino e giocavamo a scopetta ». «La rivalità c’era, ci temevamo molto – ricorda Morandi –. Io ero abbastanza all’apice della carriera quando arrivò questo ragazzino. “Questo è pericoloso” pensai. Comunque abbiamo due storie simili, io arrivo da Bologna, da una famiglia di proletari, lui da Napoli da una famiglia con tanti fratelli. Poi lui ha avuto esperienze teatrali e cinematografiche straordinarie. Io di più sulla musica. Poi tutti e due abbiamo avuto momenti di difficoltà e di ripresa. Ora siamo veramente amici».
Storie simili, ma stili diversi che portano anche in gara all’Ariston. Morandi torna 16enne e apre le braccia al sole con Apri tutte le porte un inno alla gioia e alla luce per uscire dal buio del male e della pandemia, Mentre Massimo Ranieri presenta una dolente “ballata del mare salato” dedicata all’emigrazione. «Quando si chiuse la porta negli anni ’70 a noi legati alla canzone anni ’60, che veniva cancellata dall’arrivo dei cantautori e degli stranieri, pensavo che nessuna porta per me si sarebbe aperta come cantante. La fortuna mi ha assistito ancora» aggiunge Morandi che ha girato il video di Apri tutte le porte in un carcere a Roma. «Perché ci sentiamo tutti un po’ carcerati e abbiamo voglia di aprire le porte e le finestre e di fare entrare il sole dopo 2 anni di pandemia. Alla fine scappiamo dal carcere e troviamo il sole. Quello che mi da la carica è vivere in mezzo alla musica» aggiunge Morandi che l’8 e il 9 febbraio tornerà a cantare al Teatro Duse di Bologna perché aggiunge «finche ce la faccio voglio stare in mezzo alla gente».
Massimo Ranieri piuttosto ha fatto un pensierino alla conduzione del Festival: «Tutte le volte fanno il mio nome, mi illudono e poi non si realizza. Io lo farei volentieri e accanto a me vedrei bene Loretta Goggi che è una professionista poliedrica ». Intanto il cantante napoletano sta lavorando a un nuovo album che uscirà in aprile con brani scritti da Ivano Fossati, Pino Donaggio e Giuliano Sangiorgi. Oltre alla splendida Lettera di là dal mare scritta dal “poeta contadino” Fabio Ilacqua. «Nella prima frase “La notte non finisce mai L’America è lontana”, ho rivisto la mia partenza in piroscafo 58 anni fa verso gli States. Avevo 13 anni e facevo da spalla a quel monumento che è Sergio Bruni. Io sulla prua della nave, sotto mamma, papà, fratelli e amichetti coi fazzoletti bianchi che salutavano e piangevano. Un emigrante che parte è una scena molto commovente. Noi abbiamo lasciato l’Italia, siamo stati denigrati e trattati come appestati , poi ci hanno accolto siamo diventati motore portante degli Stati Uniti. Penso a questi poverini che partono nel Mediterraneo e vengono respinti. Deve essere una cosa terribile stare su un barchino, al freddo, all’addiaccio. La canzone tratta un tema tragicamente ancora molto attuale».
Ed è per questo che Ranieri l’ha portata in gara , non tanto per vincere, «quanto perché questo testo così potente e dolente venga ascoltato da più persone possibili». «“Mai nessun temporale potrà curare le nostre ferite” è una frase che mi commuove – aggiunge –. Io ho fatto cinque giorni di oceano, è meraviglioso e terrorizzante, la Cristoforo Colombo sembrava una barchetta a remi e io non sapevo nuotare. Eravamo in balia di Dio: quando l’acqua toccava il cielo, Dio si incontrava con noi». Nel brano c’è un verso toccante, “tutti tacciono, tanti pregano”. «Noi preghiamo perché sappiamo che c’è un essere soprannaturale che tiene una mano sopra le nostre teste – conclude Ranieri – . Dovremmo affidarci a lui anche nelle cose più giornaliere: aiutare il prossimo, proteggere questa povera gente che lascia le proprie case, se ce le hanno, per trovare una speranza in un Paese che li accolga a braccia aperte con comprensione e con amore».