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ALPINISMO. Ragno Cassin: cento anni in alta quota

Paolo Ferrario martedì 30 dicembre 2008
Mai sconfitta fu tanto op­portuna. Se non fosse an­dato al tappeto durante quell’ultimo incontro e non avesse deciso di appendere per sempre i guantoni al chiodo, forse Riccardo Cassin, 100 anni il 2 gennaio 2009, sarebbe diventato un pugile di buon livello, ma probabilmente l’alpinismo avrebbe perso un cam­pione di assoluta grandezza, desti­nato a scrivere pagine memorabili nella “lotta con l’alpe” e che è considerato dagli arrampicatori dei 5 continenti un mito, per certi versi, irraggiungibile. Gente tosta i Cassin da Savorgnano di San Vito al Tagliamento, Friuli povero, terra di emigranti in cerca di un lavoro per mandare avanti la famiglia. Da qui, il giovane Riccar­do parte nel 1926 con la madre e la sorella, dopo la scomparsa di papà Valentino, morto nel 1913 in una miniera del Canada. Un padre che non ha mai conosciuto e che ha ritrovato solo alla soglia dei 90 anni, quando, nel 1998, riuscì a individuarne la tomba in un cimitero di pionieri di Nicomen, nel British Columbia. Approdato a Lecco, per quasi due anni Cassin lavora come fabbro e muratore, iscrivendosi come pugi­le al circolo “Nuova Italia”: disputa una cinquantina di incontri, sino al 1929, di cui i due terzi vinti. «At­trezzato mirabilmente per la boxe», lo descrisse l’inviato de “La Gazzet­ta dello Sport”, Nino Cappelletti, i­gnorando che il grande talento di questo ventenne brevilineo si sa­rebbe espresso a ben altri livelli, di lì a poco, sulle pareti della Grigna. Smessi i guantoni, comincerà pro- prio dalle guglie della Valsassina il suo apprendistato con la monta­gna: un’iniziazione molto rapida visto che, già all’inizio degli anni ’30, si metterà ad aprire vie nuove tanto sulla Grigna che sulla parete della Medale, grandiosa lavagna di 400 metri che sovrasta Lecco. Al termine della sua carriera, chiusa alla soglia degli 80 anni, si conte­ranno almeno 2.500 ascensioni di cui 100 prime assolute. Da Lecco, in quegli anni, passa an­che il triestino Emilio Comici, da cui il giovane Riccardo e il manipo­lo di rocciatori lombardi appren­dono la tecnica di arrampicata arti­ficiale, che Cassin metterà ben pre­sto in pratica. È datata 1935 la pri­ma, grande impresa di un Cassin 26enne ma già fortissimo. In tre giorni, dal 28 al 30 agosto, con Vit­torio Ratti, altro mirabile arrampi­catore lecchese, ucciso dai fascisti il 26 aprile 1945, risolve il “proble­ma” della parete Nord della Cima ovest di Lavaredo. È l’inizio di un trittico formidabile che, in un triennio, lo porterà a tracciare nuo­ve vie sulla Nord-Est del Pizzo Ba­dile (1937) e sullo Sperone Walker delle Grandes Jorasses, nel gruppo del Monte Bianco (1938). Drammatica l’ascensione al Badile, sotto l’infuriare di una tempesta, con Ratti, Gino Esposito, Molteni e Valsecchi: gli ultimi due morti, per lo sfinimento, sulla via di discesa.Su questo episodio, l’alpinista francese Georges Livanos, autore della biografia Cassin, c’era una volta il sesto grado, scriverà una pagina drammatica: «In un impeto di furore Cassin si mette in spalla il corpo di Molteni e riparte. Quello non è più Cassin, è molto più di Cassin. “Irresistibili, “invincibili”, qualsiasi superlativo sarebbe riduttivo di fronte a questo gesto sovrumano. Enormità del suo coraggio, della sua energia, della sua generosità». Un altro libro, in collaborazione con la Fondazione Cassin, Cento volti di un alpinista raccoglie tutte le tappe della sua carriera. Escluso dalla spedizione nazionale del ’54 al K2, che, oltre alla cima riporterà in Italia una valanga di polemiche, si rifarà 4 anni più tardi, lanciando Walter Bonatti e Carlo Mauri alla conquista del Gasherbrum IV (7.980 metri), in Karakorum; nel 1961 guiderà, personalmente, i “Ragni di Lecco” alla prima ascensione del monte McKinley, in Alaska. Nel 1975, a 66 anni, il Cai lo sceglie quale capo spedizione sulla Sud del Lhotse (8.504 metri), composta, tra gli altri, da Reinhold Messner e Alessandro Gogna. L’avventura non avrà successo per le cattive condizioni della montagna ma dimostrerà, ancora una volta, le naturali doti di condottiero di Riccardo. Un capocordata disposto, solo a 78 anni suonati, a cedere il comando a compagni più giovani, mezzo secolo dopo la prima scalata, sulla propria via al Pizzo Badile. Non stupisca vederlo ancora attivo a quell’età. Dirà, infatti, una volta tornato a valle: «A chi mi chiede dove stia andando l’alpinismo rispondo semplicemente: in montagna. È questo ciò che conta. Tutto il resto è un di più».