Agorà

LIBRO-INCHIESTA. I 60.000 ragazzi di Gomorra

Laura Badaracchi martedì 15 giugno 2010
«Dove abito io devi far parte di un branco, se sei fuori vieni mangiato. Non c’è altro modo per sopravvivere. Ma anche nel branco devi imparare a guardarti le spalle, a fare ’a voce grossa, non puoi stare mai tranquillo. Devi essere pronto a difenderti, a volte anche dagli amici». Lo racconta Francuccio, «’nu guaglione» che a quindici anni ha già alle spalle con la sua banda esperienze in quello che viene chiamato «il Sistema» con la maiuscola, ovvero il mondo della criminalità organizzata: «Ho maneggiato molte volte le armi, e anche la droga, il fumo, l’eroina. Ho visto come si prepara, come si pesa e come si vende. Dalle nostre parti di droga ne gira tanta; la consumano pure i ragazzini di dodici anni. Soprattutto il crack. E poi la spacciano». Adolescenti in erba che vendono le dosi «perché vogliono fare la bella vita e avere tante cose che le loro famiglie non possono dar loro. Ad esempio, guadagnare mille euro al giorno, comprarsi motociclette, automobili, andare nei posti lussuosi, spendere soldi senza problemi». Anche se queste scelte hanno un prezzo, molto alto: «Poi arriva il giorno che ti beccano, e tutto finisce. Alcuni dei miei amici sono stati arrestati e ora si trovano a Nisida. E ci resteranno per un bel po’ di anni. Si sono infognati la vita, ma si sono pure divertiti».Francuccio – disincantato e cinico, ma a tratti ancora bambino – e i suoi amici abitano a Napoli e dintorni. Fanno parte di quella "Gioventù camorrista" che Giuseppe Carrisi, giornalista di Rai International, esplora in un volume edito dalla Newton Compton (pagine 192, euro 12,90) presentato ieri sera alla Bottega dei saperi e dei sapori «Pio la Torre» di Roma, insieme a don Tonio Dell’Olio e Roberto Iovino dell’associazione «Libera». L’autore, che da anni attraversa l’Africa per lavoro e per passione, ha scelto un taglio a metà tra il reportage e l’inchiesta; nella seconda parte del libro, infatti, affronta l’odierna «evoluzione» camorristica (dall’organizzazione interna fino al business dei rifiuti), mentre nella prima dà voce alle giovanissime vittime-carnefici, definite «un inesauribile bacino di manovalanza» per un business ormai globalizzato e transnazionale.Li ha guardati negli occhi, incontrandoli poco più di un anno fa nel carcere minorile napoletano e per le strade della città grazie alla mediazione di Giovanni Savino, educatore della cooperativa sociale «Il tappeto di Iqbal», che si occupa di minori e famiglie a rischio (e a cui andrà una parte dei diritti d’autore). Situazioni di abbandono e di emergenza sociale che Carrisi non esita a porre in parallelo con quelle viste nel continente africano: qui, i piccoli soldati-affiliati di Barra, lì, i child-soldiers di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. «Al di là delle latitudini, sempre di infanzia violata e sfruttata si tratta, anche se i bambini soldato vengono arruolati contro la loro volontà, mentre le nuove leve della camorra inseguono il miraggio dei soldi facili e del "rispetto" nel proprio territorio, secondo un rigido "codice d’onore"» denuncia Carrisi, che ha messo a confronto le testimonianze napoletane-congolesi anche nel documentario «Voci dal buio», applaudito al Giffoni Film Festival 2009.Siamo lontanissimi dalla "Gioventù bruciata" di James Dean, riecheggiata dal titolo del libro: il disagio appare molto più profondo e generalizzato, in un contesto di disoccupazione cronica dove le alternative alla mafia sono ancora poche. Così in Italia 60mila adepti minorenni emulano i capo-clan: esperienze sessuali precoci, abiti firmati, telefonini ultimo modello, la pistola infilata nei pantaloni. Un’arma che alcuni imparano a non temere dopo «l’iniziazione» descritta da Roberto Saviano in "Gomorra": ricevere sul petto, con il giubbotto antiproiettile addosso, pallottole che si fermano a un centimetro dal corpo, lasciando però i segni di una bruciatura – una sorta di marchio inconfondibile – sulla pelle. E se la soglia di ingresso come collaboratori delle cosche si sta abbassando in modo allarmante, cala pure l’allarme sociale intorno a questo fenomeno di devianza dai contorni dilatati, fino a contaminare generazioni chiamate a costruire un futuro per la loro terra.«Quello che spaventa più di tutto non è il numero di minorenni che ogni giorno compiono atti di teppismo o reati, ma la lucidità e la consapevolezza con le quali dei bambini minacciano, anche con gravi conseguenze, indistintamente coetanei e adulti, esercitando la violenza» fa notare il giornalista, che pone l’accento sulla «solitudine di questi ragazzi che, con il crimine e con gesti estremi, a volte cercano di richiamare su di loro l’attenzione di famiglie disgregate e di una società e di uno Stato latitanti». Carrisi, però, non cade nel cliché della cronaca nera: uno spiraglio arriva da chi è in prima linea per educare alla legalità e arginare la dispersione scolastica. Volontari, maestri di strada, insegnanti che testardamente propongono un’altra gerarchia di valori, regole e punti di riferimento. «Ma non basta: le associazioni non possono supplire il ruolo della famiglia, della politica, dello Stato – ribadisce Carrisi –. Un giovane detenuto mi ha confidato: "Quando esco mi ritrovo nell’ambiente e ricado". Bisogna intervenire in questa situazione di povertà culturale e di abbandono, per aiutare i ragazzi a rischio. Perché in quella parte di terra campana, così come in altre realtà difficili della nostra penisola, è in gioco anche il futuro di tutti noi».