Agorà

Sport. Questo non è un Paese per donne

Massimiliano Castellani sabato 25 febbraio 2017

L'ex campionessa europea di pugilato Maria Moroni, oggi candidata a consigliera della Federazione pugilistica italiana.

«Ma a quando in Italia l’elezione di un Presidente di federazione donna?» Una domanda che sa di carezza in un pugno, come la storia sportiva di Maria Moroni, umbra di Foligno, classe 1975, prima donna professionista del nostro pugilato: «Tessera n. 1 rilasciata nel 2001», mostra fiera la Moroni. «Il 4 aprile 2001 è l’anno in cui, grazie all’allora ministro della Salute, il professor Umberto Veronesi, il pugilato femminile divenne ufficialmente attività agonistica», ricorda la tre volte campionessa europea dei pesi piuma, dottore in Giurisprudenza e giornalista sportiva. Una donna olimpica insomma, che oggi (al “seggio” del Teatro Lyrick di Assisi) si gioca le sue chance nella corsa elettorale, «in solitaria», per un posto da consigliera «in quota dirigenti» della Fpi, Federazione pugilistica italiana.

Badate bene, posto da consigliera e non da presidente. Per una simile candidatura Maria dovrebbe mettere ko, alle urne elettorali si intende, tre pesi massimi federali del calibro di Alberto Brasca, presidente uscente «che non ha presentato squadra»; Vittorio Lai, attuale vicepresidente «presenta una sola donna in quota atleti (Marzia Davide delle Fiamme Oro) e Andrea Locatelli, vicepresidente di Infront Italia «che ha una lista di quattro uomini in quota dirigenti. Dei tre avversari – prosegue la ex pugile – solo Lai ha inserito nella sua lista una donna in quota atleti». La Moroni nel 2009 venne eletta consigliera della Fpi, ma in quota atleti, «la prima consigliera in quota dirigenti è stata l’ex ministro delle Pari Opportunità Katia Bellillo». E siamo fermi al 2000, alle lotte della Bellillo - appassionata e praticante di pugilato - per la difesa delle quota rosa che, a a quanto pare, nel mondo dello sport è davvero soltanto un “apostrofo”.

Se il calcio riconosce la partita come «maschia», il pugilato da sempre è pratica prettamente maschile sul ring, ma anche dietro le scrivanie dirigenziali. «Eppure – dice Maria – negli ultimi anni nel pugilato è aumentato sensibilmente il numero delle praticanti». Il presidente del Coni Giovanni Malagò che è anche un fine narratore delle eroine di Olimpia (ha scritto Storie di donne, storie di sport - Rizzoli - ) nell’ultimo quadriennio, cioè da quando è al vertice del Governo dello sport italiano non è riuscito a modificare lo scenario maschilista dominante.Malagò considera un successo che nella “sua” giunta nazionale Coni, figurino tre donne (di cui due in quota atleti, Alessandra Sensini e Fiona May) su 19 membri. Nel consiglio nazionale sono quattro - tre in quota atleti - su 78. Però che quello dello sport italico non sia un Paese per donne lo conferma un dato allarmante: in nessuna delle 45 federazioni del Coni, e neppure all’interno degli enti di promozione sportiva, c’è una signora o signorina al comando. A strappare il timone della Federciclismo c’ha appena provato la figlia del grande Felice Gimondi, l’avvocato Norma Gimondi. Risultato finale: rielezione di Renato Di Rocco con 125 voti contro i 70 della Gimondi. Si tratta del quarto mandato per Di Rocco, reso possibile dallo sbarramento della soglia - capestro - del 55%, il presidente in carica ha ottenuto il 58% delle preferenze. E qui interviene non più il pugile, ma l’avvocato Moroni con tanto di codici alla mano: «Il quarto mandato è un atto “anticostituzionale”.

Nello Statuto del Coni, modificato dal Consiglio Nazionale il 4 maggio 2016 si legge che al massimo è consentito “un terzo mandato consecutivo, se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie”». E lo stesso si legge anche nell’Articolo 31 dello Statuto della Federciclismo. «Mentre nel Palazzo della politica i governi si succedono alla velocità della luce in quello dello sport invece c’è una “casta” tutta maschile che al momento pare intoccabile», denuncia la Moroni. E come dargli torto. Nella pallavolo, sport che dopo il calcio è quello che vanta più tesserati in Italia (circa 370mila) si vota domani a Rimini e Carlo Magri punta al settimo mandato: è sulla poltrona presidenziale dal 1995 e nel ministero degli interni del volley c’è una sola consigliera. Meglio di Magri solo Romolo Rizzoli, presidente della Federbocce da un quarto di secolo. La Repubblica fondata sul pallone (il calcio) sceglierà il suo primo ministro nelle elezioni del prossimo 6 marzo e il favorito è il “sempre verde” presidente in carica Carlo Tavecchio, classe 1943. Il presidente del Coni Malagò ha dichiarato che «le donne non figurano nei consigli federali perché non si candidano», ma anche su questo la replica della Moroni è un gancio alle coscienze del potentato. «Niente di più falso. È un discorso di numeri.

Nella Fpi su 17 consiglieri 16 sono uomini. Quindi per me statisticamente sarebbe un’impresa riuscire ad essere eletta nelle votazioni odierne». Un’impresa molto più dura che reggere alle dieci riprese sul ring. Eppure un Paese che con la nuova legge elettorale ha introdotto le quote rosa in Parlamento (e nei cda delle aziende), dovrebbe tenere conto che anche negli enti sportivi è necessario elevare la rappresentanza delle donne. «E invece continuano a nascondersi dietro un dito e si comportano con ipocrisia. Considerando che il Coni e le federazioni sportive gestiscono soldi pubblici, si dovrebbero adeguare al rispetto delle quote di genere. È previsto dalle leggi statali ed è sancito dalla Costituzione: le federazioni diventano enti pubblici nella gestione patrimoniale quindi devono rispettare l’Articolo 51, modificato da poco, in cui viene garantito il rispetto delle pari opportunità».Dal 2014 il Coni si è dotato di un Comitato per le pari opportunità e il 7 febbraio scorso nel Salone d’Onore (al Coni) alla presenza del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, si è tenuta la “Giornata di sensibilizzazione per le pari opportunità”. «Al dibattito purtroppo non è seguita la proposta concreta per un’equa ripartizione di incarichi tra uomini e donne all’interno delle federazioni», conclude la Moroni che non sa quale sarà l’esito delle elezioni, e l’unica nomina certa è quella di ambasciatrice per la pace nel mondo. «È la nomina più bella che potessi ricevere (assieme all’arbitro internazionale di pugilato Claudio De Camillis) quella dell’associazione Assisi Pax International. Spero sia un segno di san Francesco per il futuro di tutte le donne italiane dello sport».