Cinema. Quell'aurora sul cielo sopra Berlino
«Con Aurora, Murnau ha portato il cinema muto alla sua vetta più alta»: Charlie Chaplin. Il 23 settembre del 1927 al Times Square Theatre, ore 20.30, veniva presentato Sunrise del tedesco, emigrato, Friedrich Wihlem Muranu, subito salutato dalla stampa come «il miglior film mai realizzato in Usa da un regista straniero». Murnau era già famoso in Europa per aver introdotto nel cinema l’horror moderno con Nosferatu (1922), un caposaldo dell’espressionismo tedesco. Egli fu contattato dal produttore William Fox dopo che questi aveva visto un altro capolavoro, Der Letzte Mann (L’ultimo uomo, 1924), un altro film sociale e psicologico: introduceva il tema della terza età e del demansionamento che colpisce gli anziani sul lavoro.
Con Sunrise Murnau raccontava la storia quotidiana di una coppia: tradimento, tentato femminicidio, repentino rinsavimento del marito, perdono da parte della moglie, rinascita dell’amore, tragedia finale evitata. Siamo d’estate in una località di villeggiatura, su un’isola vicina al continente. Tra i turisti è arrivata anche una “donna di città”, seducente, con la gonna sul ginocchio, trucco e sigaretta in bocca. Murnau catapulta lo spettatore in medias res: ella da settimane ha irretito un brav’uomo, un serio agricoltore (George O’Brien) da poco sposo, con una fedele e devota moglie (Janet Gaynor, Oscar per l’interpretazione). Si incontrano di notte tra i giunchi e amoreggiano. Lei chiede di più: «Se tua moglie avesse un incidente durante una gita in barca sul lago … saremmo liberi. Porta un fascio di giunchi con te, per salvarti. Andremo a vivere in città! La città è piena di divertimenti!». Gli danza intorno, come Salomè: l’uomo l’abbraccia accecato dalla passione. Ma in barca, nel momento in cui il marito sta per strangolare la moglie, di fronte agli occhi di lei sgranati dalla paura, egli rinsavisce.
Giunti sulla sponda opposta del lago, la donna scende e fugge sulla terraferma. L’uomo la insegue, per chiederle perdòno. Sta passando un trenino che collega città e campagna: la donna sale trafelata e terrorizzata, l’uomo la raggiunge a fatica. Inizia il riavvicinamento, mentre il trenino arriva in città. La conoscenza della città da parte dei due contadini corrisponde al graduale perdono che il marito guadagna e alla rinascita del loro amore. Da antologia alcune scene: i due che, attratti in una chiesa, assistono a una cerimonia nuziale, commuovendosi e rivivendo il loro patto di fedeltà davanti a Dio; la foto dal fotografo come due novelli sposi; la loro danza contadina in una sala da ballo in cui raccolgono gli applausi entusiasti dei “cittadini” presenti, ecc. A sera, tornano al lago per riprendere la loro piccola barca. Nel bel mezzo della traversata si scatena una tormenta. Verranno scaraventati in acqua. L’uomo fa in tempo a legare il fascio di giunchi attorno ai fianchi della donna. L’uragano passa. Alcuni pescatori intuiscono la tragedia. L’uomo si è salvato, è giunto a riva, ma la donna è dispersa. Ecco le barche dei compaesani con le lanterne accese, in acqua, per le ricerche, è ancora buio. La camera inquadra dei giunchi, slegati, galleggianti. Il marito capisce: la moglie è morta. Tornano tutti a villaggio, addolorati. La donna di città va incontro all’uomo per “festeggiare” l’incidente del lago, non suppone che egli sia tornato in sé. L’uomo, disperato, e con il senso di colpa ancora vivo, sta per strangolare l’ex amante, quando giungono delle grida: «è viva!». La moglie è stata ritrovata. Salva grazie ai giunchi, racconterà un vecchietto che non aveva interrotto le ricerche.
Aurora è ancor oggi un attuale e sincero canto alla fedeltà coniugale. Il ritmo del film cattura lo spettatore per la sapienza con cui Murnau alterna dramma e commedia; momenti romantici e gag comiche; come fonde espressionismo (le scene notturne della seduzione e quelle della tragedia sul lago) e realismo metropolitano tra magia e documentarismo da “tragedia americana” (alla Dreiser). Magistrale la sintassi filmica: sorprendenti carrelli, panoramiche, camera a seguire, dissolvenze, riprese in plongeé, ecc. Meritati i due Oscar: miglior film e miglior fotografia (Charles Rosher e Karl Struss).
Nello stesso giorno in cui i newyorkesi scoprivano un film in cui «l’amore tutto perdona e tutto dimentica», i berlinesi, presso il cinema Tauentzien-Palst, alla stessa ora, potevano “scoprire” tutti gli angoli della loro città, spesso sconosciuti ai più: Berlino. Sinfonia di una grande città (Walther Ruttmann). La scena della giovane barbona, sconsolata, con i due figlioletti, rasati a zero e ricoperti di stracci, che la abbracciano, mentre chiedono l’elemosina sulla scalinata di una chiesa, s’infissa nelle pupille dello spettatore. Come non dimentichiamo i lauti pasti di signori nei locali notturni, tra champagne e montagne di cibo: tutto contrappuntato da Ruttmann in un “montaggio dialettico”, da far invidia ai sovietici.
Berlino. Sinfonia di una grande città, capolavoro del documentario, è un film stratificato che si offre a diverse letture e che ha ispirato Wim Wenders per il suo Il cielo sopra Berlino. È un’opera d’avanguardia per la forma: futurista, modernista e finanche costruttivista. Un film politico (lo abbiamo anticipato): le modeste casette e baracche della periferia opposte agli imponenti palazzi e ville della città; ricchi versus poveri. È, anche, un film sociologico: la città colta all’aurora: i mezzi di trasporto che si “svegliano” dai garage; l’intensificarsi del traffico; le auto di lusso; i carri funebri di prima classe; gli opulenti negozi che sollevano le saracinesche come palpebre meccaniche; i postini che schizzano fuori dalle Poste con le borse a tracolla; bambini colti mentre felici corrono a scuola; militari, impiegati, operai, comizianti proletari. «Ho girato nascondendo la macchina da presa, non volevo che le persone, una volta scoperta la camera “recitassero”» (Ruttmann).
Il cinema, con questi due film ci dava America ed Europa colte nelle loro rispettive rosee aurore sociali del 900. Ma mostrava anche i pericoli della modernità: la città non va vissuta come luogo del vizio e dello sciocco divertimento (Aurora); la meccanizzazione e il lusso non debbono farci dimenticare disoccupati, operai, homeless (Berlino. Sinfonia di una grande città).