Letteratura. Quel film sui Florio targato Gesualdo Bufalino
Giovanni Boldini, “Ritratto di donna Franca Florio”, olio su tela, 1901-1924
Arriva ora in libreria, promossa dalla Fondazione Bufalino di Comiso, la sceneggiatura Io, Franca Florio, redatta nel 1993, per un film poi mai realizzato, ritrovata dattiloscritta sul retro delle bozze di Cento Sicilie, l’antologia di testi appena approntata insieme all’amico e discepolo Nunzio Zago per La Nuova Italia. La pubblica l’editore Archilibri (pagine 96, euro 12,00) con una prefazione di Gianni Canova e le illustrazioni di Giovanni Robustelli. Nonostante la precarietà del mezzo - ma Gesualdo Bufalino non scriveva nulla con la mano sinistra, nemmeno la lista per la spesa - ci arriva tutto e assai intenso il profumo di quegli anni che, a Palermo, sono quelli d’una belle époque siciliana fastosa ed elegante che, proprio all’insegna dei Florio e del loro attivismo non solo imprenditoriale, attraversa momenti di splendore che non ebbero e non avranno mai più eguali nella storia della città e dell’isola. Che Palermo era, all’inizio del secolo scorso, quella di cui Franca Florio è l’assoluta protagonista insieme a Ignazio, il marito, che proprio in quegli anni fonda il quotidiano L’Ora? È la Palermo in cui il soprano Lina Cavalieri, definita da Gabriele D’Annunzio «la massima testimonianza di Venere in Terra», viene ricevuta con tutti gli onori, la stessa in cui arriva Oscar Wilde, in fuga dalla Gran Bretagna per i fin troppo noti scandali giudiziari, e il giovanissimo fratello di Ignazio, Vincenzo, che «brilla per brio e galanteria », finanzia e organizza la Targa Florio, la più antica corsa automobilistica di durata al mondo. Siamo, a ogni modo, nella Sicilia del terremoto di Messina, che cancellò la città il 28 dicembre 1908. E nella Palermo dell’omicidio di Joe Petrosino, avvenuto il 12 marzo dell’anno dopo. Bufalino mostra le qualità d’uno sceneggiatore popolare di successo, per di più scaltrissimo: si chiede infatti se non sia il caso di mettere in relazione con l’incendio di Villa Florio all’Olivuzza - uno dei primi eventi che annunciano la futura rovina della famiglia - con l’omicidio del famoso poliziotto siculo-americano, coinvolgendovi il boss don Vito Cascio Ferro, il quale appare in scena - dettaglio di perfida intelligenza altoborghese - «seduto in ca- nottiera, con un tavolinetto davanti su cui sono sparse le carte d’un solitario». Stesso intendimento a proposito della competizione automobilistica. Scrive infatti Bufalino: «Lo svolgimento della Targa Florio (...) con vetture d’epoca può a questo punto prestarsi a scena di pittoresca spettacolarità». E aggiunge: «Per documentazione esiste un intero volume sull’argomento con foto ecc. Inoltre, su questo e su tutti gli argomenti in questione, io ho modo di consultare una vecchia raccolta del Giornale di Sicilia (1897-1915) dove per es. è descritto alla perfezione l’abito di Franca in occasione d’un ballo in maschera ( Vestita da Margherita di Navarra)». Illuminante l’introibo dove Bufalino illustra il 'Progetto per un film sulla famiglia Florio', dimostrando la sua assoluta vocazione di metascrittore, che vale non solo per il romanziere, ma anche - e forse ancora di più - per il saggista e per lo sceneggiatore. Sappiamo tutti quanta energia lo scrittore abbia dedicato all’interpretazione in prima persona della propria opera fornendo all’uopo, quando il caso, 'istruzioni per l’uso' nella lettura: con un’intelligenza ermeneutica così prepotente che, se la critica vorrà fare ancora passi avanti, dovrà liberarsi senza indugi da quelle pesanti ipoteche d’autore. L’incipit della sceneggiatura ci cala subito in un’atmosfera da 'mondo di ieri'. Ci troviamo infatti al cospetto di una donna di quasi sessant’anni davanti a uno specchio, l’unico rimastole, ultima testimonianza d’una atavica ricchezza, d’un remoto splendore: «Io sono Franca Florio, sono stata Franca Florio, mi chiamavano la regina di Palermo». Franca è una donna bellissima per unanime consenso, celebrata all’apice del suo splendore in un famoso quadro del 1901 di Giovanni Boldini. Ha una sola debolezza: il «complesso della pelle olivastra » per cui «si fa porcellanare il viso». Un solo cedimento: un «amore platonico » con un pilota francese, «che poi muore, più o meno suicida per disperazione di non essere ricambiato». Ma è anche saggia e paziente, innamorata d’un marito sentimentalmente fatuo, che la tradisce continuamente e in modo eclatante e che lei, invece, sempre perdona. La tradisce persino - ed è notizia da deliziare i letterati, il loro gusto per il pettegolezzo d’alto bordo - con Bice Lampedusa, la madre di Giuseppe Tomasi, l’autore di Il Gattopardo. Franca è radiosa e commovente nel giorno del suo matrimonio, l’11 febbraio 1893: «'Si può essere più felici?' dice lei, appoggiando la testa sulla spalla di Ignazio. Commenta Bufalino: 'Il tono è un po’ svenevole, da educanda sentimentale'. Ignazio le risponde con uno sguardo lievemente sfrontato: 'Stanotte lo sarai di più!'. Quindi aggiunge: 'Oggi sei solo mia moglie. Domani sarai la madre di Ignazio terzo, l’erede della dinastia, il nuovo re del Mediterraneo!'». Sicché si può capire molto bene cosa possa accadere a Franca e Ignazio quando, per la leggerezza della governante francese impegnata in un convegno d’amore - Bufalino propende per questa ipotesi - somministra un sonnifero al piccolo Baby boy e l’unico erede maschio della dinastia muore. Non sono pochi, insomma, i motivi d’interesse che il lettore - non solo lo specialista - troverà in queste pagine. Sicuramente per una certa idea di cinema e di sceneggiatura. Poi, per la possibilità di entrare nel laboratorio del Bufalino scrittore attraverso una delle porte non certo secondarie. Infine, per via d’una meravigliosa storia di famiglia che giaceva come in letargo, pronta per essere risvegliata da un demiurgo di classe. Peccato che, di questa storia, non abbia fatto romanzo, ma ci abbiano invece pensato altri, suoi mediocri posteri. Bufalino era Bufalino: questo testo lo dimostra per l’ennesima volta