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Il caso. Quei soldati italiani lasciati morire di fame in Polonia dopo l'8 settembre

Vincenzo Grienti giovedì 4 dicembre 2014
A Przemysl, nel sud-est della Polonia, i campi di prigionia tedeschi durante la Seconda guerra mondiale erano tre. Tra questi lo Stalag 327 situato a Pikulice. Dopo l’invasione tedesca dell’Urss nell’estate del 1941 molti militari sovietici furono condotti in questi lager. Con l’arrivo dei prigionieri italiani, soprattutto ufficiali, considerati 'traditori' dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani dell’8 settembre 1943, qui, al confine con l’Ucraina, si registrarono fatti orribili al di là di ogni rispetto per la dignità umana. Questi soldati 'traditori' di una nazione che aveva abbandonato la Germania in guerra furono lasciati morire di fame, di stenti, di malattie dai tedeschi. Ora, a distanza di settant’anni la verità riaffiora dal sottosuolo di Przemysl-Pikulice. Adam Siwek, capo del Dipartimento del Consiglio nazionale per la protezione della lotta e martirio, in una intervista al Nasz Dziennik ha spiegato che furono circa 3mila gli internati morti sepolti in undici grandi fosse comuni. Parte dei resti di sole tre tombe furono esumati nel 1963 e trasferiti presso il cimitero militare di Nehrybka.  Nel 2003 furono condotte altre ricerche che oggi trovano ulteriore conferma con il recupero di altri 2.500 corpi di soldati, sia sovietici che italiani, morti in prigionia nel campo. Gli specialisti che stanno lavorando agli scavi non escludono altri ritrovamenti. Intanto sono state recuperate solo alcune piastrine sovietiche e italiane e pochi oggetti personali, come spazzolini da denti, pettini, cucchiai e croci ortodosse. «Sono notizie che ci aiutano ad arricchire le informazioni che abbiamo sulla complicata vicenda storica dei nostri soldati - spiega Anna Maria Isastia, docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma-. Nel 1944 i sovietici, nella loro avanzata da Est occuparono anche i lager polacchi e smistarono gli italiani in altri campi a Est di Mosca e fino in Siberia. Conoscere il numero esatto dei soldati italiani e i loro nomi è quello che si sta cercando di fare oggi. I reduci cercarono, già all’epoca, di redigere elenchi e predisporre tabulati. Molta preziosa documentazione dovrebbe trovarsi negli archivi russi, considerando che i militari sovietici arrivarono fino all’Oder. Nel 1992 i russi consegnarono all’Italia molta documentazione che spero non sia andata smarrita». Per Virgilio Ilari, presidente della Società italiana di storia militare, «degli 800mila militari italiani catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre, almeno 60mila furono trasferiti nei lager situati in Romania, Ucraina, Bielorussia e Polonia. Alcuni riuscirono a evadere e ad unirsi ai partigiani: almeno tre furono pure decorati. A partire dall’estate 1944, man mano che i sovietici avanzavano, i tedeschi trasferivano o semplicemente uccidevano i prigionieri». Intanto in Italia c’è chi sta lavorando alla lenta ricostruzione della memoria: «L’Albo dei militari italiani caduti nei lager tedeschi 1943-1945 e il Lessico dei 600mila militari rientrati richiederà almeno altri due anni di lavoro - spiega Enzo Orlanducci, presidente dell’Associazione nazionale reduci dalla prigionia -. Certamente permetterà di fare luce su molte di queste oscure vicende. Il lavoro dei nostri ricercatori impegnati, in questo periodo, in Italia, Germania e in Bielorussia, non è facile a 70 anni dagli avvenimenti, ma sta riscontrando, da parte delle autorità locali, una certa disponibilità e siamo fiduciosi anche di una fattiva collaborazione da parte della Russia».