Cinema. «La paranza dei bambini»: piccoli pesci nelle reti della camorra
Una scena de “La paranza dei bambini“, “Piranhas” in inglese, di Claudio Giovannesi dal romanzo di Roberto Saviano in concorso al 69° Festival di Berlino
La sfida raccolta dal regista Claudio Giovannesi nel portare sullo schermo il romanzo La paranza dei bambini di Roberto Saviano con un film ieri in competizione al Festival di Berlino, non era cosa da poco: raccontare il mondo criminale di Napoli senza replicare il modello Gomorra, osservando la realtà da un diverso punto di vista, con un altro sguardo. Una scommessa decisamente vinta dal regista capace di farci amare i suoi personaggi, malavitosi non ancora maggiorenni, sin dal primo momento. La storia è infatti quella di sei quindicenni del rione Sanità – Nicola (Francesco Di Napoli), Tyson (Ar Tem), Biscottino (Alfredo Turitto), Lollipop (Ciro Pellecchia) O’Russ (Ciro Vecchione), Briatò (Mattia Piano Del Balzo) – che vogliono fare i soldi per comprarsi abiti firmati, scarpe costose, motorini nuovi e avere accesso ai locali notturni frequentati da belle ragazze. Per questo sfrecciano sui loro scooter, brandiscono pistole, si preparano alla guerra senza paura del carcere e della morte, giocandosi tutto nell’incoscienza della loro età. Nicola (Di Napoli è una vera scoperta) gioca a fare i boss, si lancia alla conquista del quartiere e della ragazza di cui si è innamorato (Viviana Aprea), ma poi litiga con il fratellino per una merendina.
Prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra in collaborazione con Sky Cinema e Timvision, il film, accolto con entusiasmo dal pubblico e dalla stampa internazionale, è da oggi nelle nostre sale (distribuito da Vision) e vede nel cast anche Renato Carpentieri,Valentina Vannino, Pasquale Marotta, Luca Nacarlo, Carmine Pizzo, Aniello Arena, Roberto Carrano. «Il tema che ha guidato tutta la costruzione del racconto – racconta il regista, che ai più giovani ha dedicato anche i due film precedenti, Alì ha gli occhi azzurri e Fiore – è la perdita dell’innocenza, la fragilità e l’incoscienza di ragazzi che vanno alla guerra rinunciando alla loro adolescenza. Era necessario trovare la misura della violenza da mettere in scena, che nel libro è mediata dalle parole. Nel film tutto è in funzione di quello che viene raccontato, lontano da tentazioni ricattatorie e spettacolarizzazioni fine a se stesse. Non volevo realizzare insomma un Gomorra junior e ogni scena è costruita dalla prospettiva dei sentimenti e delle emozioni».
Dimostrando di avere le idee molto chiare e solide su cosa raccontare e come, Giovannesi conserva sui suoi “paranzini” (la paranza è l’insieme dei pesci piccoli) uno sguardo pulito, ricco di grazia ed empatia, che scava nell’umanità di ragazzi capaci di coniugare dolcezza e ferocia. Uno sguardo innamorato non di quella sfrontatezza che rende i giovani malavitosi affascinanti agli occhi di ragazze e coetanei, ma del loro lato più infantile, di quella tenerezza di cui i poveri pesciolini sono ancora capaci prima che anche l’amore diventi un lusso al quale rinunciare. «A guidarmi – continua il regista – è stato anche il pre-finale di Germania anno zero di Rossellini. Il mio film è giocato sul binomio gioco/guerra e sulla non reversibilità di certe azioni. Dal gioco si torna indietro, dalla guerra no e a un certo momento i ragazzi sono chiamati a fare delle scelte. Volevo mostrare le conseguenze di certe decisioni, le chance che vengono date agli esseri umani, senza però sconfinare nella sociologia, nella denuncia. E senza fare un film su Napoli e il suo hinterland».
«Questa storia – aggiunge Saviano, anche lui a Berlino per presentare il film che ha sceneggiato insieme al regista e a Maurizio Braucci – racconta di una generazione per la quale a contare sono i soldi, i followers e l’aspetto fisico. Ormai quelli nutriti da questi ragazzini che vivono nel centro di Napoli, uno dei pochi a conservare un cuore popolare, non sono più desideri da ghetto, ma gli stessi di quelli dei coetanei nel resto del mondo. E le pistole sono la lampada di Aladino alla quale chiedere ogni cosa. I ragazzi protagonisti di questa storia hanno capito che la camorra è l’unica organizzazione a credere e a investire sui giovani, ai quali sono accessibili anche ruoli di comando. Chi decide di prendere questa strada accetta un’aspettativa di vita che ci riporta al Medioevo. Per i “paranzini” è normale cioè morire a 24 anni. In questo mondo i genitori perdono autorevolezza, diventano persone da proteggere o disprezzare». «Raccontiano una generazione senza padri – riprende il regista – costretta a colmare questa assenza».
Scelto tra 4mila ragazzi per il suo volto, per l’innato talento e la conoscenza delle dinamiche criminali del quartiere, Di Napoli nella vita lavora in un bar del rione Traiano, lo stesso dove è ambientato il bel documentario di Agostino Ferrente, Selfie, (presentato a Berlino nei giorni scorsi), che affida a due ragazzi il compito di raccontare se stessi e il loro difficile quartiere attraverso un cellulare. «Quelli come me, che scelgono di lavorare invece di prendere in mano una pistola – dice Francesco Di Napoli – sono considerati degli stupidi. Io invece credo che gli sciocchi siano loro».