Italia spaziale. Quattro passi verso Marte
È stato lui il primo italiano nello spazio: Franco Malerba, classe 1946. Già selezionato nel 1977 come uno dei primi quattro astronauti dell’Esa europea per il Programma Spacelab, è stato assegnato nel 1990 alla missione Shuttle STS 46. La navetta Atlantis è partita da Cape Canaveral il 31 luglio 1992, e negli otto giorni di missione, l’equipaggio di sette astronauti, compreso Malerba, rilasciò la piattaforma scientifica "Eureka" dell’Esa, e il satellite "a filo" di concezione e realizzazione tutte italiane. Il cavo lungo 20 chilometri non raggiunse la distanza prevista, ma il satellite venne comunque recuperato dagli astronauti, con la guida di Jeffrey Hoffman e con la supervisione di Franco Malerba, e fu riportato sulla Terra. Con Malerba abbiamo parlato della situazione delle imprese spaziali a cinquant’anni dal lancio del nostro primo satellite. In un momento di crisi globale, le agenzie spaziali guardano comunque con interesse al futuro dell’esplorazione spaziale. A un possibile ritorno sulla Luna, ma anche alla conquista di Marte.«Sono quattro i tipi di missione, e i relativi obiettivi di conoscenza, che potranno permettere agli umani di proiettarsi nel sistema solare. E si potrebbe definirli altrettanti campi-base di una lunga scalata, indispensabili per il grande balzo, fuori dalla nostra culla di sempre, la Terra. «La prima base è proprio la Luna, che ci permette di studiare l’origine del sistema Terra-Luna e ci allena alle sopravvivenze prolungate nello spazio, soprattutto dopo la conferma dell’esistenza di ghiaccio d’acqua in alcune zone polari del nostro satellite. La seconda base potrebbe essere il "punto di librazione L2", quella posizione particolare dello spazio, allineata sulla radiale Terra-Luna, circa quattro volte più lontana della distanza che ci divide dalla Luna, che consente a un laboratorio spaziale ivi collocato di orbitare attorno al Sole, rimanendo sempre nel "cono d’ombra" della Terra». E la terza base? «Saranno gli asteroidi. Ne esiste una grande varietà. Possono essere utilizzati come "miniera" o come "oasi" nel vasto deserto dello spazio. Impareremo a utilizzarli come risorsa e anche a "domarli" al fine di liberare la Terra dalla minaccia di un possibile futuro impatto disastroso. Non è un caso che la Nasa abbia lanciato di recente un programma di esplorazione di asteroidi con astronauti, per mezzo della nuova astronave Orion, ora in fase di sviluppo. L’ultimo campo sarà Marte, l’unico pianeta oltre la Terra, che possiamo legittimamente immaginare come ambiente possibile per costruirvi la futura base umana». In quei fantastici giorni che ha trascorso in orbita sull’Atlantis, ha visto o notato qualcosa di strano o di misterioso dai finestrini della navetta?«Tutto era magico e strano, ma anche spiegabile in termini razionali; si galleggiava nell’assenza di peso accanto ai finestrini e ricordo la luce fioca e fissa delle stelle, senza l’atmosfera di mezzo; ricordo qualche flash improvviso nel buio, ma era il prodotto delle radiazioni cosmiche sulle mie rétine; ricordo fortissime luminescenze sulla Terra, di notte, ma erano tempeste elettriche di alta quota; ricordo striature luminose accendersi nell’atmosfera della Terra e svanire, ma non erano altro se non le particelle cometarie della notte di San Lorenzo; ricordo anche una fontana di oggetti scintillanti come diamanti nelle vicinanze dell’Atlantis, ed era il nostro scarico dell’acqua, che si trasformava nel freddo e nel vuoto in mille ghiaccioli!». Ha mai avuto paura, prima e durante la missione? «No, fare l’astronauta è un mestiere dove è sempre necessario avere coraggio e essere intraprendenti, ma quando si conosce alla perfezione ogni dettaglio dei nostri mezzi, c’è fiducia. E noi ne avevamo. Si trattava di un’avventura che avevamo fortemente voluto nella quale eravamo consapevoli di ciò che affrontavamo. E poi tutto si fa per la sicurezza degli astronauti e per far sì che possano tornare a terra sani e salvi. La parola "fallimento" davvero non è contemplata». Nello spazio portò diversi oggetti personali. Uno di quelli a cui era, ed è ancora, maggiormente affezionato? «Nello spazio portai una medaglia raffigurante la Madonna della Guardia di Genova. Un simbolo importante di fede, ma anche legato alle mie radici con la terra ligure e genovese. Il Monte della Guardia è una vera e propria risorsa comune: l’ho visto dallo spazio ed è stata una visione straordinaria. E poi la Madonna della Guardia è collegata con la città in cui sono nato e cresciuto, che è Busalla. Ancora oggi, vicino al Santuario gli astrofili organizzano sessioni di osservazione del cielo, perché è un punto lontano dall’inquinamento luminoso, ottimo per guardare il cielo stellato». Nei giorni scorsi la missione Rosetta ha vissuto il momento più importante, con la discesa del lander su una cometa. Ha seguito questa missione?«Quello di Rosetta è un altro grande successo dell’Europa spaziale, e della cooperazione europea per lo spazio, che già per l’esplorazione planetaria ha registrato grandi successi in passato. Dimostra che siamo competitivi anche in missioni particolarmente complesse. Al di là dell’atterraggio del lander sul nucleo cometario, è una missione di successo anche per ciò che ha fatto, e che potrà fare per tutto il 2015 la sonda principale vera e propria. Per l’appunto Rosetta, che è stata realizzata con forte contributo italiano. Questa è una missione che può aprire scenari importanti in campo scientifico e della bioastronomia in particolare».E oggi? Dopo la sua esperienza all’Ocse, a Parigi, è tornato a occuparsi di spazio.«Da qualche mese sono tornato a occuparmi essenzialmente di spazio da "libero cittadino" e dalla mia base di Parigi collaboro con alcune imprese italiane su progetti Esa e Unione Europea; in particolare stiamo studiando una tecnologia per la cattura di space debris, la cosiddetta "spazzatura spaziale", un problema che è d’attualità già da tempo, e speriamo di contribuire nel lungo termine alla sicurezza e alla pulizia di quello che definisco il "mare spazio"».