«Questo è un paese oscuro a se stesso, nel quale tutti soffrono più malesseri che dolori, senza capirne con chiarezza il perché», scrive Guido Piovene nel Viaggio in Italia. Il “dolore” attuale, è sicuramente quel razzismo avvelenato e diffuso nella società, che poi prende le sembianze di “malessere” quando entra in uno stadio di calcio. Che razza di gioco è questo, si è chiesto un gruppo di scrittori e giornalisti nel 1° numero della rivista lo “Sport Perlustrato” (Sedizioni) e leggendola attentamente si comprende che il razzismo nel calcio italiano ha purtroppo radici profondamente insane e assai radicate nel tempo. «La prima volta che nel nostro campionato si è parlato di chiudere gli stadi per “cori razzisti” è stato nel novembre del ’92 e l’appel- lo arrivò dal milanista Ruud Gullit. Sono passati quasi vent’anni e mi sembra che siamo ancora al punto di partenza...». È il commento del sociologo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e l’antirazzismo nel calcio. Un fenomeno, dati aggiornati alla mano, assolutamente da non ridurre semplicisticamente al solo “caso Balotelli”. «Anche se c’è da sottolineare che in questa stagione Mario Balotelli è stato “insultato” già in ben 9 partite, di cui 5 quando neanche giocava l’Inter - continua Valeri - . Perché? Perché è forte, segna ed è un “nero italiano” e glie lo rinfacciano, apostrofandolo violentemente, in quasi tutti gli stadi. I benpensanti si ricordino nei loro commenti su Balotelli che è anche l’unico calciatore nero che ha avuto il coraggio di denunciare il razzismo negli stadi, di criticare i suoi stessi tifosi e di prendere le difese di un altro collega di colore come Luciano del Chievo». Osservazioni puntuali e precise, come le analisi statistiche dell’Osservatorio di Valeri che dalla stagione 2000-2001 ha censito 500 episodi di razzismo nei nostri stadi (150 in serie A). Protagoniste in negativo 93 tifoserie, 4 le partite che si sono disputate a porte chiuse e 3 i campi squalificati in seguito a quegli episodi, dalla Serie A alla Lega Pro ex C1. Complessivamente sono state comminate ammende alle società per oltre 2.500.000 euro, 1 milione nella sola serie A. «Che fine hanno fatto questi soldi?», si chiede Valeri, molto pessimista anche riguardo agli imminenti sviluppi normativi. «La sensazione è che il problema del razzismo stia diventando un “pallone bollente” che Figc e Governo all’occorrenza si rimbalzano senza prendere quei provvedimenti che riguardano tutto il nostro sistema calcio, direttamente coinvolto». Infatti il razzismo non fa distinzioni di categoria. Nella stagione in corso l’Osservatorio ha censito 28 episodi - 13 in serie A - , di cui 19 puniti dal giudice sportivo, con 182 mila euro di multa alle società. Mano pesante contro l’unico caso ufficiale di “razzismo in campo”: De Lorenzo del Noicattaro (Seconda divisione, ex C2) per gli insulti al “nero” Doudou della Cisco Roma, si è beccato 3 giornate di squalifica. Pesanti anche le sanzioni nei confronti della Juventus che fin qui per i cori razzisti dei suoi tifosi è stata punita in 6 circostanze e nel computo dei 160mila euro delle ammende rimediate, 75 mila circa quelle pagate “per cori e striscioni razzisti”. «Eppure - puntualizza Valeri - la Juventus è la società che più si sta muovendo sul fronte dell’antirazzismo (ha anche lanciato il video pro Unicef Un calcio al razzismo con Amauri, Del Piero e Sissoko) e questo anche grazie alla sensibilità del suo presidente Jean-Claude Blanc, che guarda caso è un francese... Le società possono fare molto, ma serve anche la collaborazione dei tifosi e al momento un dato allarmante è l’assenza completa di forme di “dissociazione attiva”. Cioè, i controfischi della maggioranza civile e sportiva e il pubblico dissenso verso le frange estreme che insultano il giocatore nero. Frange politicamente pilotate che ultimamente fanno sentire spesso anche cori antisemiti e di “discriminazione territoriale”, tradotto: antimeridionalisti». L’Osservatorio dovrà occuparsi anche di questi. Anche nel calcio stiamo tornando paurosamente indietro, nel tempo.