Il Talmud afferma: «Gli inizi sono sempre difficili». Anche da decifrare, si potrebbe aggiungere: come è nata una religione? Come è stato scritto un testo fondativo di un credo religioso? Domande cui la riflessione teologico- esegetica cristiana ha dato da tempo alcune risposte sul cristianesimo stesso, con l’utilizzo del metodo storico-critico che Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret ha definito «indispensabile a partire dalla struttura della fede cristiana» basata sulla storia. E per l’islam? Quali sono i traguardi cui la riflessione critica sul Libro sacro musulmano può condurre, soprattutto rispetto al mondo cristiano coevo a Maometto? A questo interrogativo prova adesso a dare una risposta, con dotta sottigliezza accademica e perspicace procedimento intellettuale, un famoso esegeta cattolico, Joachim Gnilka, che lo stesso Joseph Ratzinger, nel suo libro cristologico, ha definito autore di uno dei «più importanti e recenti libri su Gesù» per il suo
Gesù di Nazaret. Annuncio e Storia (Paideia). Ora questo studioso tedesco – docente di studi neotestamentari a Münster e Monaco – percorre il delicato crinale dell’analisi comparativa tra l’incipiente esperienza islamica e il mondo cristiano dei secoli VI e VII d. C. Già autore di un apprezzato
Bibbia e Corano (Ancora), Gnilka ha suscitato scalpore in Germania e in Francia – dove è appena stato pubblicato da Cerf – per
Qui sont le chrétiens du Coran (pp. 175, euro 18), dove analizza le radici cristiane del Corano. Quale il filo interpretativo perseguito da questo finissimo ricercatore? La convinzione che le conosciute attestazioni di elementi cristiani nel Corano vadano vagliate con attenzione e in profondità, superando facili concordismi restando aperti a inediti traguardi conoscitivi. I testi, anzitutto: il Corano si riferisce ai cristiani chiamandoli nasara, che rimanda al 'nazareni' del testo evangelico. Epperò – segnala Gnilka – già nel Nuovo Testamento due erano i termini indicanti chi si rifaceva al maestro di Nazareth: nazarei e nazorei. Ma quando sopraggiunge la nuova terminologia di 'cristiani' assegnata ai credenti ad Antiochia (vedasi gli Atti degli Apostoli), il termine 'nazorei' sta a indicare quei giudeo-cristiani ancora molto attaccati alle tradizioni ebraiche e fedeli alla Legge, contro cui l’apostolo Paolo «combatté» la sua battaglia di apertura missionaria ai pagani. Sono questi 'nazorei' quei «falsi fratelli» accusati da Paolo nella Lettera ai Galati (2,4), segnala Gnilka, per i quali «non c’è salvezza senza la Legge ». Sorta a Gerusalemme, questa 'eresia' cristiana primordiale non si trova più nella città santa a seguito della guerra giudeo-romana conclusasi nel 70 con la distruzione del Tempio. Scrive il Nostro: «Dopo il 135 non c’era più nessuna comunità giudeo-cristiana a Gerusalemme. Essa venne rimpiazzata da una comunità pagano-cristiana installatasi poco a poco». Dove andarono quei giudeo-cristiani? La risposta può venire paradossalmente da una lettura critica del Corano dove Gnilka riscontra una sovraesposizione di citazioni neotestamentarie del Vangelo di Matteo (notoriamente di ambiente ebraico) e un’assenza pressoché totale di elementi paolini. Qualche esempio? Matteo 6,1 allorchè Cristo esorta dal non praticare la giustizia per essere visti dagli uomini, pare ripreso dalla sura 2,264 del Corano: «Non vanificate le vostre elemosine con rimproveri e vessazioni, come quello che dà per mostrarsi alla gente ». Anche il riferimento sulla fiducia in Dio che assiste anche gli uccelli del cielo accomuna Matteo (6,26) e il Corano (sura 16,79); e altre esemplificazione testuali. In totale, il libro islamico presenta 7 citazioni letterali del vangelo matteano sulle 8 del Nuovo Testamento (il Vecchio è presente con 22 passi). Questa ripresa pressoché univoca del Nuovo Testamento nella sola forma di Matteo fa dire a Gnilka: «Riteniamo che il Corano non presuppone una conoscenza diretta degli scritti canonici neotestamentari», ma solo una parte di essi. Come gli eretici (nel caso, quei giudeo-cristiani non riconosciuti dagli apostoli) che – etimologicamente – 'scelgono' una parte della Scrittura e tralasciano il resto. Anche la presentazione che il Corano fa di Gesù – un profeta, colui che è stato crocifisso ma non ucciso, il rifiuto della sua dignità di figlio di Dio, una sua certa natura 'angelica' – fa propendere Gnilka nella convinzione che tali retaggi cristiani non siano canonici bensì risalenti alla tradizione giudeo- cristiana dei 'nazorei': «Il giudeo- cristianesimo che qui ci interessa […] rifiuta di riconoscere Gesù come figlio di Dio». Un ultimo, clamoroso dettaglio suggellerebbe plasticamente l’ipotesi che l’islamismo sia stato concepito da un grembo giudeo-cristiano: la questione della moschea di Omar, a Gerusalemme. «La scelta del luogo, il collocamento sopra la roccia santa sembrano indicare chiaramente il disegno di legarsi alla tradizione ebraica ». Non solo: una nuova traduzione di alcune iscrizioni all’interno della moschea e riferite non più a Maometto ma a Cristo – proposte da un ricercatore anonimo firmatosi Christoph Luxenberg, rilanciato da Gnilka – propugnano l’idea che la moschea fosse in origine un luogo di culto giudeocristiano, eretto in concorrenza con il Santo Sepolcro di matrice bizantina. Gnilka dunque si pone una questione di fondo: «L’islam è un pezzo staccatosi dal cristianesimo? Siamo ancora lontani dal poter rispondere a questa domanda».