Anniversario. Quando l'Italia correva come Pietro Mennea
Pietro Mennea (1952-2013), esulta per l'oro conquistato nei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca 1980
La mia generazione, quelli nati all’ultimo sprint degli anni ’60, ha vissuto l’adolescenza guardando con il naso in su, rivolto alla luna, convinta di vedere prima o poi spuntare un astronauta, russo o americano, capace di correre leggero e veloce come il nostro eroe nazionale, Pietro Mennea. Se eri nato maschio ed eri una scheggia nei 200 metri, allora i ragazzi del muretto ti ribattezzavano subito “Mennea”. Ma se osavi vantarti di essere il pelìde Achille del quartiere, puntuale arrivava il coro-sfottò del branco: «Ma chi sei, Mennea?» (vedi il doc di Rai Sport). Era un’Italia, quella dei ‘70 che a un certo punto si era immedesimata in quella corsa a perdifiato del giovane barlettano, il quale pur essendo un antimito divenne l’icona di un intero Paese. Ma il leggendario azzurro dell’atletica è corso via da questa terra, come sempre troppo in fretta: era il 21 marzo di dieci anni fa quando Pietro l’italiano è salito nel mondo dei più, a soli 61 anni.
Nelle tre occasioni in cui quell’ex ragazzino che sono stato e che sognava, come tutti, di correre forte come Mennea, ha incontrato il suo idolo di gioventù, ne è uscito rinfrancato per aver stretto la mano a un uomo che aveva fatto dell’umiltà e della voglia di migliorarsi, costantemente, il suo credo. Oggi basta una medaglia per far saltare il tappo mentale di un atleta. Pietro, la “Freccia del Sud” invece, era rimasto l’eterno ragazzo di Barletta. Quello che, come racconta nella storica intervista Rai ad Alfredo Pigna, ringraziava ancora il suo insegnante di ginnastica alla Ragioneria (il prof. Alberto Autorino) per avergli fatto sperimentare i 60 metri piani e aver compreso che quella sarebbe stata la sua strada.
La pista d’atletica lo avrebbe portato sul tetto del mondo, primo atleta bianco a scendere sotto i 20’’ nei 200 metri. Un record epico, rimasto inviolato per 17 anni (glielo strappò Michael Johnson): i 200 metri corsi in 19’’72 a Città del Messico. Era il 12 settembre del 1979, un anno prima del trionfo che lo ha consacrato per sempre nell’olimpo: l’oro ai Giochi di Mosca 1980. L’apoteosi.
Ma l’umile Pietro alla vigilia della campagna di Russia visse in apnea la sua presenza a quei Giochi rimasti alla storia per il boicottaggio degli Stati Uniti. Come ha raccontato ad Avvenire il suo storico allenatore, il prof. Carlo Vittori, «Pietro non faceva che dirmi, Ma dove andiamo? Poi mi diranno che ho vinto perché non c’erano gli americani. La sua ossessione fu sempre quella di ripetere a se stesso, “non mi sento preparato”». Gli allenamenti “intercambiabili” di Vittori e quel sacrificio al limite della sopportazione umana, fecero del ragazzo gracile dal fisico di un Tersite, un atleta preparatissimo, un piccolo eroe esemplare, quasi invincibile.
Come Mennea nessuno azzurro mai: ha corso in 5 Olimpiadi, 2 primati mondiali, 8 europei, 33 nazionali. Quando ha tirato un attimo il fiato si è messo a studiare e si è preso quattro lauree. L'avvocato Mennea è stato anche un saggista quasi compulsivo: ha pubblicato 23 libri. Eletto europarlamentare ha continuato a sfidare tutto e tutti, partendo dalla difesa ad oltranza della giustizia e della verità. Perciò, per colmare questo vuoto decennale, abbiamo deciso di correre idealmente con Mennea. Sulla distanza dei 200 metri, usando le sue parole preziose proferite nei nostri incontri.
20 metri: Monaco 1972, una ferita ancora aperta
«Come posso dimenticare l’orrore di Monaco e quella strage degli atleti israeliani massacrati dai fedayyin? Ma oltre alla tristezza per le morti innocenti di quei ragazzi, in tutto questo tempo mi è rimasto un grande dubbio legato a quella sessantina di atleti dell’ex Ddr che erano stati messi nel villaggio olimpico come “infiltrati” dei servizi segreti. Come è stato possibile, mi domando ancora oggi, che non avessero saputo e non abbiano evitato l’ingresso dei terroristi?... Qual è la verità?».
40 metri: la mia campagna 50 lire per la verità
«Si chiamava “50 lire per la verità” la campagna che nel '96 feci in favore delle famiglie delle vittime di Ustica. Raccogliemmo diversi milioni».
60 metri: il Cio ha come missione fare politica
«Da De Coubertin a Rogge, chiunque si sia occupato di Olimpiadi inevitabilmente si è trovato a fare politica. Il Cio è composto dalla stessa gente che sta lì da cinquant'anni. È una struttura obsoleta che si comporta come un associazione di impresa, senza poi sobbarcarsi il vero rischio d'impresa che ricade tutto sul Paese organizzatore dei Giochi e di conseguenza sul povero cittadino. Monaco ‘72 e Montreal ‘76 hanno finito di pagare i debiti delle rispettive Olimpiadi nel 2005. A noi servirà ancora molto tempo per smaltire i Giochi Invernali di Torino 2006...»
80 metri: il Coni si muove come un elefante
Il Coni è un “elefante” con migliaia di persone che non si sa bene cosa fanno, quando servirebbe una organizzazione più snella che dovrebbe essere supportata da un Ministero dello sport più attento alla crescita delle attività agonistiche di base. Ricordiamoci sempre che nelle nostre scuole l'Educazione fisica è praticamente assente».
100 metri: Olimpiadi in Italia, la grande utopia
«Possibile vedere un Mennea tedoforo in un'ipotetica Olimpiade italiana? Dubito, si sono lamentati anche quando feci il portabandiera. Non siamo pronti culturalmente per i Giochi. Noi non diamo la possibilità di mettere in luce l'enorme potenziale che abbiamo. Questo è il grande problema dell'Italia e non solo nello sport».
120 metri: l’avanzata inarrestabile della Cina
«La mia impressione della Cina è la stessa che dovette avere Napoleone quando, nel 1816, lesse il resoconto dell'ambasciatore inglese che scriveva: “Quando la Cina si sveglierà, il mondo dovrà tremare”. Dopo due secoli la profezia si è avverata. Il problema sono le modalità adottate da un Paese che si sta facendo largo con la corruzione, con il sopruso dei diritti umani e la violenza nei confronti delle minoranze etniche di Tibet e Darfur».
140 metri: lo sport è stato ridotto a business
«Inutile, sul gradino più alto del podio ormai c'è solo il business. È la prima legge dello sport moderno Lo è diventata. Nello sport della mia generazione il fattore economico non era così preponderante. Oggi le finali si fanno al mattino perché la Nbc nella grande asta mediatica ha offerto più soldi di tutti per mostrarle ai suoi milioni di telespettatori».
160 metri: il doping corre più forte di tutti
«Io quando gareggiavo ero vittima del doping dei due blocchi: quello dei Paesi dell'Est e di quelli liberali, con l'America che, ieri come oggi, la fa da leader. Ora però il fenomeno è globale, dall'Occidente fino alla Cina, e qui addirittura ricorrono anche alle piante asiatiche dalle speciali molecole dopanti. Ho scritto tre libri sull'argomento. Giro l'Italia con i giudici Imposimato e Guariniello con i quali andiamo a testimoniare che il doping è una piaga sociale... .Al punto in cui siamo il doping è quasi impossibile da battere, possiamo solo assestargli qualche spallata, rendergli il percorso più difficile, ma per debellarlo c'è da fare una corsa sovrumana».
180 metri: il mio atleta ideale è un nuotatore
«Il mio atleta ideale? Michael Phelps, un gigante. Fa quello che facevo anche io, si allena in piscina pure il giorno di Natale».
200 metri: la speranza, il suo ultimo record
«Alla fine sono convinto solo di una cosa: che in ogni sport conteranno sempre e solo gli atleti, loro sono gli attori protagonisti, unici e insostituibili».