Il caso. Da "Homeland" a "Tutto chiede salvezza": le serie tv sul disagio psichico
Un'immagine della serie Tv "Tutto chiede salvezza"
Da un po’ di tempo a questa parte anche le serie tv stanno affrontando il tema delle salute mentale, che è una questione sulla quale è facile scivolare. Ma è inevitabile che un genere entrato di prepotenza nella nostra vita e che ha cambiato le nostre abitudini televisive affronti un problema che riguarda milioni di persone in Italia e nel mondo.
Ci sono in proposito diversi esempi, a livello nazionale e internazionale. Se vogliamo anche in una serie cult come la statunitense Homeland, che racconta una storia di spionaggio, protagonista è una giovane agente della Cia affetta da un disturbo bipolare che la spinge a comportamenti maniacali. Ma anche limitandoci ai casi più recenti, spaziando tra le reti e le piattaforme, troviamo ad esempio Euphoria, su Sky Atlantic (ora su Sky Go), con casi di disturbo ossessivo compulsivo, depressione, attacchi di panico e d’ira, anche se poi prevale lo sballo per alcol e droghe, mettendo in evidenza la fragilità giovanile attraverso un racconto molto duro, con violenze, sesso esplicito e non poche volgarità. Alla fine, per fortuna, anche in Euphoria (serie statunitense creata e scritta da Sam Levinson per Hbo) appare un barlume di luce.
Su RaiPlay è invece rintracciabile Mental, che, con ben altro registro, affronta il disagio esistenziale tra gli adolescenti attraverso le vicende di quattro ragazzi con problemi psichiatrici, che tra allucinazioni, tossicodipendenza, autolesionismo e voglia di fuggire lontano da tutto, troveranno per la prima volta qualcosa in grado di motivarli e di farli stare bene: il gruppo di amici formato da loro stessi. Così facendo, la serie prodotta da Simona Ercolani, scritta da Laura Grimaldi e Pietro Seghetti e diretta da Michele Vannucci, mette anche in luce come la differenza tra i quattro ragazzi ricoverati e i coetanei all’esterno non sia poi così marcata.
Sempre su piattaforma, in questo caso Paramount+, è in rete la serie Corpo libero (basata sull’omonimo romanzo di Ilaria Bernardini, scritta con Ludovica Rampoldi, Chiara Barzini e Giordana Mari e diretta da Cosima Spender e Valerio Bonelli) che, pur essendo incentrata sulla ginnastica artistica, non manca di fare riferimento ai disturbi ossessivo compulsivi scatenati dall’ansia e dalla paura.
Anche una delle ultime serie andate in onda su una rete generalista, Viola come il mare su Canale 5 (prodotta dalla Lux Vide per la regia di Francesco Vicario), attribuisce alla protagonista un disturbo neurologico, la sinestesia, comunque considerato non un limite, bensì una dote che rende speciali.
Da alcuni giorni è infine disponibile sulla piattaforma di Netflix la serie Tutto chiede salvezza, tratta dal romanzo auto-biografico di Daniele Mencarelli, diretta da Francesco Bruni, sceneggiatore di lungo corso, autore degli adattamenti del Commissario Montalbano e regista al cinema di film come Scialla! che quindi conosce bene il doppio registro del dramma e della commedia, del tragico e dell’ironico, che in questo caso utilizza per affrontare il disagio psichico giovanile (con speranza, ma senza buonismo) in una serie che racconta in sette episodi altrettanti giorni di Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) a cui viene sottoposto il venticinquenne Daniele Cenni (interpretato da Federico Cesari) a seguito di un crollo psicotico e un attacco di rabbia. Nella settimana di isolamento dal resto del mondo, Daniele farà i conti con i suoi fantasmi, comincerà a scavare dentro di sé arrivando a stringere forti e sinceri legami, i più veri della sua vita, con i pazienti con cui condivide la degenza. Al tempo stesso avvierà un confronto- scontro con il personale del reparto psichiatrico, medici e infermieri, ma anche con la famiglia. Alla fine, come diceva Franco Basaglia, padre della legge 180 che chiuse per sempre i manicomi, « visto da vicino nessuno è normale», tanto che Daniele ha quasi paura di tornare fuori « perché qui — dice — c’è solo un campionario di follia, il grosso è oltre queste mura». In quanto alla settimana di Tso, si tratta di un tempo compiuto, che può ben rappresentare un percorso completo, un cammino di rinascita attraverso l’accettazione di sé e degli altri. Al momento del ricovero niente per Daniele ha senso nella vita. Lo dice lui stesso, così come a proposito degli altri degenti si chiede che cosa c’entri lui con loro («Mi fanno pena e un po’ schifo»). Ben diversa sarà la sua opinione sui compagni di stanza al momento di lasciare l’ospedale («Quello che sento per loro è indicibile… Fratelli offerti dalla vita… Uomini nudi, abbracciati alla vita per un male avuto in dono»). Aiutato dalla saggezza di un «vecchio pazzo» con la passione per la poesia (Mario, un ottimo Andrea Pennacchi), dalla sensibilità di un ragazzo alla ricerca della propria identità (Gianluca, alias Vincenzo Crea), dall’amore per una ragazza, dalla scrittura e in parte anche dalla religione, Daniele matura, cresce, prende coscienza fino alla scoperta della parola che contiene tutto: salvezza («Tutto mi chiede salvezza, ecco la parola che cercavo: salvezza per i vivi e per i morti, per i pazzi di tutti i tempi ingoiati dai manicomi della storia»). © RIPRODUZIONE RISERVATA Sul piccolo schermo sono diversi i film seriali che mettono al centro il tema della salute mentale. Si va dalla serie cult americana “Homeland” alle ossessioni compulsive di “Euphoria”, fino alle nostre “Corpo libero” e soprattutto la dirompente “Tutto chiede salvezza” tratta dal romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli A sinistra: una scena di “Tutto chiede salvezza” (su Netflix)