Agorà

Riflessione. Bruni: «Quella profezia che salva dagli idoli»

Marco Girardo martedì 22 maggio 2018

Marc Chagall, “Il profeta Isaia”, 1968, Musée National Marc Chagall, Nizza, Francia

Finché sulla terra ci sarà un idolo, avremo ancora bisogno di profeti. E dagli idoli la nostra società post-capitalistica appiattita sul feticismo del consumare – un culto con milioni di totem, oggi pure virtuali e personalizzati – è quasi divorata. L’umanesimo biblico che Luigino Bruni continua a esplorare in chiave sociale, economica e antropologica rappresenta anzitutto un antidoto all’idolatria. Ma non si svela pienamente trascurando i profeti: «Ci resta soprattutto precluso senza Isaia», afferma l’economista marchigiano, con il quale conversiamo in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Dialoghi della notte e dell’aurora (Edb, euro 240, pagine 20,00), raccolta delle riflessioni ispirate dai testi biblici e pubblicate da Avvenire la domenica. Isaia è una cima massima del genio umano, continua Bruni: «Grazie a lui possiamo capire Cristo: i Vangeli sono stati scritti sul retro del rotolo di Isaia, e se lo dimentichiamo li trasformiamo in una raccolta di testi morali o una collezione di miracoli ». Del resto, conveniamo, più che aver ereditato una cultura atea, oggi – come temeva Karl Barth – siamo banalmente regrediti in un mondo strapieno di feticci. La tradizione profetica affonda le sue radici nella conoscenza sapienziale, processo in cui non si attiva il logos, ma il cuore. Isaia, di tale tradizione, esalta l’universalità, l’inclusività, la spinta anti-ideologica e ancor prima la bellezza. Nell’arte ad esempio, dice Bruni, «c’è una dimensione profetica che permette di cogliere un dato empirico della profezia: si tratta di un dono oggettivo, universale, di un bene comune globale che abbraccia anche gli ultimi, gli scartati rendendo loro giustizia nel richiamare i re e le istituzioni alla limitazione del potere». Anche per la psicoanalisi la dignità dell’arte è tale solo se non evita l’incontro del reale con il trauma e con le cicatrici del dolore.

Il primo compito del profeta dunque – di Isaia, come di Quèlet – è liberare il campo dall’idea errata di Dio quale potere sommo, affamato di sacrifici, che agisce dentro la logica contabile del dare e dell’avere: «Le offerte al tempio e ai suoi commerci, i sacrifici, sono una strada sbagliata. La strada giusta è un’altra: quella della giustizia e quindi dell’azione a favore dei poveri ». In tal senso, rileva l’economista, la voce profetica di papa Francesco è paradigmatica: in un mondo distratto, molto distratto, meno capace di ascoltare, di rico- noscere l’Altro, i profeti continuano a esserci e hanno un valore infinito. Ma la mentalità contabile nell’era del capitalismo tecno- finanziario è sorretta e potenziata da quella che oggi identifichiamo come “razionalità digitale” e che Isaia riconobbe quale idolo della Babilonia degli astronomi e degli astrologi, degli “scienziati” e “tecnici” dell’epoca. Bruni: «L’errore più grave che il profeta vi riconobbe è la mancata conoscenza della precarietà del proprio successo e potere». E quindi l’emergere del delirio di onnipotenza – o volontà di potenza – che le impediva di pensare alla fine. Uno dei contributi, preziosissimo, dei profeti consta proprio nella capacità di vedere in tempo il punto critico e quindi l’avvicinarsi della cosiddetta «maledizione delle risorse» (materiali e intellettuali) che scatta ogni qual volta le ricchezze di ieri diventano un ostacolo alla creazione del raccolto di domani. Il paradigma dello sviluppo sostenibile denuncia esattamente il medesimo limite, quello che tecnici, futurologi e sondaggisti non riescono purtroppo a scorgere. Le culture contemporanee, sempre più uniformi, sono del resto schiacciate sull’eterno presente, sintonizzate sull’istante e in virtù di ciò oramai incapaci di concepire il futuro. In tal senso la contrazione dei tempi – e quindi capacità di visione – della politica è impressionante. Quando in una comunità, ricorda Bruni, in un popolo, in una civiltà, in ciascuno di noi «si appanna la profezia, la giovinezza è nostalgia, l’invecchiamento maledizione e la vita adulta non arriva mai».

La profezia interpreta pertanto un ruolo ancor più importante, oggi, spostando il confine: «Non sulla differenza sacro-profano, sulla distinzione tra templum e tempus, dove Kairos domina Kronos; non è più lo spazio, cioè, a dividere sacro e profano, ma la parola a curvare il tempo e sovvertire l’ordine». Nel mondo delle fake news la Bibbia ci ricorda il potere della parola, capace di «creare» dal nulla, «come nel momento in cui due sposi dicono sì davanti a un sacerdote». Le parole dei profeti sono «sommamente generative », per Bruni, essendo i virgolettati di Dio: «Con Isaia la parola buca il tempo, la parola diventa il tempio». Si fa tempio soprattutto la notte, nel tempo di crisi, perché essendo i profeti stessi uomini e donne dell’insuccesso, «la loro parola e la loro esistenza ci donano una mappa etica e spirituale per orientarci nell’ora del fallimento ». E, dunque, per intercettare come sentinelle i primi lucori dell’alba.

Nella società attuale, prima delle luci del futuro, è già difficile cogliere la differenza. Anche per questo proliferano i falsi profeti, «negazione della notte o negazione dell’alba». Nell’Espulsione dell’Altro il filosofo Byun Chul Han stigmatizza «la violenza dell’Uguale », violenza invisibile. La proliferazione dell’Uguale, aggiunge, si presenta come crescita, ma da un certo punto in poi, «la produzione non è più produttiva, bensì distruttiva, l’informazione non è più informativa, bensì de-formativa, la comunicazione no è più comunicativa, bensì cumulativa ». E perde significato. Isaia ci insegna a smascherare l’omologazione del falso profeta: «Che è ruffiano, dà ragione al potente, dice quello che vuole il potente. E a-teo subalterno al potere. Il problema dei falsi profeti è che alle volte lo diventano in presunta buona fede, quando iniziano ad ascoltare la propria voce» e non più quella eccedente dell’Altro. Così diventano retori e sofisti: «Accade nella politica che cede il passo al populismo, accade anche dentro la Chiesa». L’idolatria del resto non è esterna alla religione. È la sua principale malattia auto-immune, che essa stessa genera quando perde contatto con la profezia. La profezia, poi, è sempre inclusiva. Apre le porte ai gentili.

In Isaia, continua Bruni «c’è il tema immenso dell’universalismo della salvezza. Per questo senza i profeti avremo solo dinamiche tribali. La visione ( éskatos) di Isaia è quella di una nuova Gerusalemme in cui tutti i popoli fanno festa e celebrano insieme». La direzione in cui va il mondo è diametralmente opposta, constata amaramente Zygmunt Bauman ( Retropia) richiamando le analisi di Michael Walzer: «Se mai gli Stati diventassero dei grossi vicinati – come accade nell’attuale fase di globalizzazione digitale accompagnata dal divorzio tra politica e potere – è probabile che i vicinati diventerebbero dei piccoli Stati e che i loro membri si organizzerebbero per difendere la politica locale e la loro cultura dagli estranei». Incombente è dunque la dinamica di un mondo che si arrocca come effetto di una globalizzazione che ha finito per aumentare le disuguaglianze, dagli Stati Uniti all’Europa. Senza dimensione profetica, ricorda Bruni, non avremmo probabilmente avuto l’Unione Europea e non a caso per De Gasperi, Schuman e Adenauer - tre cattolici, tre uomini di frontiera, tre perseguitati dalle dittature nazifasciste - è in corso la causa di beatificazione. Pertiene infine alla profezia la dimensione della gratuità, regola prima della grammatica sociale. «Il profeta è l’immagine di qualcuno che serve una parola non propria, anche scomoda, sempre gratuita». Non un regalo, dentro una logica commerciale di «dare e avere», una logica debitoria, ma un dono inserito in una prospettiva relazionale: «Isaia parla alle persone guardandole negli occhi, conoscendole. La parola è un bene relazionale, sta sempre dentro la relazione». La profezia nel tempo dei social media è pertanto un richiamo allo sguardo dritto negli occhi. Per evitare, ancora con Byun-Chul Han, che l’ordine digitale, ontologicamente solipsistico, provochi una progressiva scomparsa della realtà generata invece dall’incontro.

LOPPIANO: IL CORSO DI ECONOMIA BIBLICA

Al libro del Profeta Isaia, dal 14 al 16 giugno, sarà dedicato il “Terzo corso di Economia Biblica” tenuto da Luigino Bruno con la collaborazione della Scuola di Economia civile presso il Polo Lionello Bonfanti di Loppiano (Figline e Incisa Valdarno, Firenze). Sono previste agevolazioni nel caso di giovani (fino a 30 compiuti) e piccoli gruppi (dalla terza persona). Per i docenti e i dirigenti scolastici, la Sec è ente accreditato dal Miur per la formazione del personale del comparto scuola. La presentazione del libro Dialoghi della notte e dell’aurora avverrà invece domani al Festival Biblico di Vicenza.