Agorà

Il fenomeno . E ora i produttori salgono sul palco

Andrea Pedrinelli martedì 27 gennaio 2015

Da quando le case discografiche hanno abdicato allo scoprire nuovi artisti delegando il ruolo ai talent show, il livello delle nuove produzioni discografiche si è drasticamente abbassato. Reggono, lo dimostrano i numeri, i vecchi leoni: che poi sono gli unici a proporre musica valida, perché dai talent non ne esce. Che fine hanno fatto però i produttori? Quelli indipendenti, quelli che fuori dalle major o lavorando malgrado le loro esigenze di marketing hanno nel tempo lanciato gente tipo Paoli (Nanni Ricordi), Pooh (Giancarlo Lucariello), De Gregori (Ennio Me-lis), Rino Gaetano ( Vincenzo Micocci), Ron (Roberto Dané), Ligabue (Angelo Carrara)? La curiosità è che due di loro hanno deciso di passare dall’altra parte della barricata proponendosi come artisti. Ovviamente prodotti da sé. E non si tratta di nomi di poco conto: Fabrizio Sotti ha lavorato con Zucchero, Jennifer Lopez, Shaggy, Gipsy Kings; Piero Fabrizi ha prodotto Fiorella Mannoia di cui è stato anche autore (e marito) ma ha anche collaborato con Oxa, Rava, Fossati, Caetano Veloso. Ora puntano su sé stessi. Sotti con un magnifico e raffinatissimo album (A few possibilities) in cui rilegge con classe spiazzante Pink Floyd e Bob Marley, per la prima volta chiamando lui gli artisti (Zucchero stesso, Ice T, Isabella Lundgren, Mino Cinelu) a collaborare con la sua chitarra e non venendo chiamato a produrre loro. E Fabrizi risponde con un album (Primula) più radiogenico, per quanto sempre superiore alla media dei (presunti) nuovi talenti, nel quale – anch’egli da chitarrista – mescola i mondi che nel tempo ha incontrato: Balcani, Brasile, rock, cantautorato. Anch’egli con cover (dei Led Zeppelin) ed ospiti: Moreno Veloso, Chico César, Mauro Pagani, Tony Levin. Ma che senso ha durante la crisi fare gli esordienti, o quasi? Risponde Sotti: «Fare un disco è un’esigenza artistica, e noi siamo musicisti prima di tutto. Poi è solo con un progetto fisico sul mercato che puoi lavorare. Guadagni poco, rispetto a ieri: ma riesci a trovare nuovi contatti e sviluppare l’attività. Ovviamente, almeno nel mio caso, puntando su mercato digitale e vendita diretta ai concerti: in modo che si riduca il budget per la distribuzione, visto che sono meno noto di altri». Però ciò non va a scapito della qualità, attenzione, e nel caso di Sotti è palese. Lui dice: «Ho guardato agli amanti della musica oltre i generi perché nella globalizzazione l’unica arma per farsi ascoltare e comprare è comunicare ciò che senti». E se gli si chiede perché non usare questa tecnica con esordienti veri, magari il futuro Zucchero o la Mannoia del 2020, ribatte con parole disarmanti: «La discografia si è autodistrutta ignorando i nuovi media. Oggi iTunes è la società che più guadagna dalla musica e non è azienda musicale. Per questo i discografici sono costretti a ricorrere ai talent. Non hanno soldi! L’unica è l’indipendenza, nel senso che siamo tutti indipendenti. Io come i nomi notissimi. Tutti ci autoproduciamo, facendo la differenza, quando accade, con la nostra musica e il modo di proporla. Con le major non ha senso firmare, se va bene distribuiscono i dischi». E così Sotti produce se stesso per arrivare a farsi conoscere da futuri clienti, leggasi nuovi talenti da produrre; e Fabrizi si mette in gioco direttamente con la stessa mira: in più l’intelligenza di sostenere col suo cd “Il sorriso dei miei bimbi”, Onlus per educare i piccoli della più grande favela del Sudamerica.  Sono dischi belli quanto strani, insomma, quelli di Sotti e Fabrizi: finti esordienti con alle spalle lustri di storia. Ma se funziona, da questi dischi potrebbero ricavare i fondi per restituirsi al mercato come i Melis, Lucariello, Ricordi, Micocci del futuro. Loro sanno fare musica (si sente) e confezionarla (si vede): e la mancanza di nuove leve nel settore li ha spinti a prenderne il posto. Fare loro gli artisti oggi, per dare chance a quelli di domani.

(Sotto: Fabrizio Scotti)