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Cinestoria. "Processo" a Ponzio Pilato. Al cinema il giudizio è sospeso

Eusebio Ciccotti sabato 11 aprile 2020

Rod Steiger in "Gesù di Nazareth"

Recentemente, un pool di magistrati ha ricreato, nel palazzo di Giustizia di Milano, un intrigante e, processualmente imparziale, Processo a Ponzio Pilato (2019). Il dispositivo finale della sentenza riconosce il procuratore colpevole di abuso di potere, per aver condannato «a morte un uomo che pur riteneva innocente, per paura che le sue azioni potessero essere criticate dall’Imperatore ». E un secolo di tribunali di cinema come hanno giudicato Ponzio Pilato?

Nel kolossal più bello e costoso del muto dedicato a Gesù (T. Newman), Il Re dei Re (1927), il regista Cecil B. DeMille (figlio di un pastore), tratteggia un Pilato con carattere. Egli (è Victor Varconi, primo attore ungherese emigrato a Hollywood) siede su un trono, alle cui spalle svetta la scultura di una gigantesca aquila, simbolo della potenza di Roma, circondata da quattro alti e robusti bracieri fumanti ai lati, e centurioni sull’attenti. Un lento back-travelling, alla David W. Griffith, contribuisce a presentare il procuratore in forma ancor più imponente. Sopra la tunica un orientaleggiante toga aperta, con almeno un metro di strascico.

La sceneggiatura, firmata da Jeanie Macpherson, cita Marco, Luca e Giovanni («Non mi rispondi? Sai che ho il potere di liberarti o metterti in croce?»). Claudia Procula raggiunge Pilato accanto al trono (diversamente dai Vangeli) e gli chiede, molto preoccupata, «Where is He?». Pilato, con un cenno ai soldati, fa aprire le tende in fondo alla sala, da cui si vede Gesù legato a una colonna e flagellato nel cortile. Claudia, in versione di discepola, soffre addolorata e implora Pilato di non fare del male a Gesù per via di un sogno. Pilato, davanti all’insistenza del popolo, nonostante abbia liberato Barabba, che vuole Gesù crocifisso, si fa portare un catino e una brocca (sono d’argento): un soldato gli versa dell’acqua sulle mani (allusione prolettica alla Messa) e poi dice: «Sono innocente di questo sangue!».

Nel taglio successivo, brevissimo, (3 secondi), DeMille ci mostra Pilato, sconsolato sul trono, con la mano che sorregge la testa. Il primo film dedicato interamente alla figura del procuratore è Ponzio Pilato (1962, Gian Paolo Callegari/ Irving Rapper), con un finale che forse respira l’aria del Concilio Vaticano II. Qui, Pilato (un incolore Jean Marais), rientrato a Roma, finisce sotto processo e, alle accuse di Caligola, in Senato, sceglie il silenzio, come un tempo fece il Nazareno davanti a lui.

Pilato, accetta serenamente la condanna, novello martire, non prima d’aver dichiarato, ad alta voce, la sua conversione al cristianesimo. Pier Paolo Pasolini in Il vangelo secondo Matteo (1964) riduce all’essenziale l’intervento di Pilato («Chi volete che vi liberi per Pasqua, Barabba o Pilato?») insistendo una sola volta in difesa di Gesù («ma cosa ha fatto?», mentre, in Matteo, Pilato fa due tentativi). Pilato ha con tono distaccato. A Pasolini non interessa l’eventuale dramma interiore di Pilato, legge il lavoro del prefetto come normale e quotidiana amministrazione. Non cita il sogno della moglie Claudia.

Maggiormente fedele ai testi, come il film di DeMille, è il Pilato (un superbo Rod Steiger) del Gesù di Nazareth (1975) di Franco Zeffirelli, da anni nell’immaginario di milioni spettatori. Egli ascolta le accuse di Caifa e Anna, con malcelato fastidio, opponendosi senza timore. L’interrogatorio del condannato è risolto in un classico campo/controcampo di primi piani, con Gesù in posizione simbolicamente più alta rispetto a Pilato. Il procuratore si concede dell’ironia sul “re dei giudei”, ma senza cattiveria, concludendo «fatelo frustare in ricordo della legge romana, è un sognatore ».

Dopo la flagellazione Zeffirelli inserisce una scena di forte impatto visivo: Gesù rientra senza scorta, con la coperta rossa gettatagli dai soldati sulle spalle e la corona di spine. Avanza lentamente, dal fondo della sala, in controluce: Pilato, e lo spettatore, rimangono, per un lungo momento, colpiti da quella simbolica abbagliante luce. Pilato, poi, dovrà cedere, di fronte al ricatto di Caifa: non può salvare chi si proclama «re dei Giudei», al posto di Cesare, senza che Cesare lo sappia. L’anno seguente, Luigi Magni, con Secondo Ponzio Pilato (1976), propone una riscrittura filmica popolare.

Pilato veste da ebreo, parla in romanesco e assisterà da lontano all’Ascensione di Gesù. Magni, sceglie il tono leggero, mescolando più generi: commedia (talvolta volgare), traccia storica, conversione di personaggi. come Procula (è l’improbabile Stefania Sandrelli), attratti dall’insegnamento di Gesù. Eppure, tali infedeltà tornano poi utili per una lettura etica del personaggio Pilato: un uomo tiepido di fronte al Sinedrio, ma non sciocco da credere alle false accuse raccolte da Anna e Caifa.

Per alcuni critici l’asciutto Pilato (è il bulgaro Hristo Shopov) di Mel Gibson (La Passione di Cristo, 2004) «è troppo “gentelmen» (M. Morandini), non solo perché prima dell’interrogatorio, giocato tra primi piani in controluce di forza caravaggesca, offre da bere a Gesù (che non reagisce), ma perché, nelle sue domande, non è né ironico né aggressivo. Inoltre Gibson inserisce un delicato dialogo, extra canonico, tra Pilato e Claudia, sulla verità. Dopo un secolo di processi al cinema il giudizio su Ponzio Pilato è sospeso a metà.