L'addio a Battiato. Prima del “genio” surreale veniva l'amico generoso
Elisabetta Sgarbi insieme a Franco Battiato
L’incontro con Franco, nacque grazie a mi madre, la Rina, un’estate di molti anni fa. Eravamo in vacanza a Taormina e lei mi disse: «Elisabetta, andiamo a trovare Battiato». Io mi ribellai, non potevamo presentarci a casa sua in quel modo. Ma mia madre non ascoltava mica, e così andammo da lui. Io timidissima, non dissi una parola. Ma diventammo amici. Franco mi disse poi che già da quell’incontro capì che il nostro legame sarebbe stato forte e duraturo. Era una persona che aveva un senso altissimo dell’amicizia. I suoi amici erano punti di riferimento, che non avrebbe mai tradito. Agli amici dava sempre molto, con assoluta generosità, restando umile.
Franco aveva avuto un successo planetario, eppure aveva un senso della relatività delle cose che gli accadevano, dei successi come anche degli insuccessi. Era un eterno ragazzo che amava buttarsi in avventure sempre nuove: come il cinema per esempio. Intuì che quello cinematografico era un linguaggio in cui poteva trasferire il mondo delle sue riflessioni più profonde. Non abbiamo mai fatto notte fonda o tirato fino all’alba cantando le sue canzoni. Con Franco si cenava presto, si parlava poco, e poi lui andava a riposare. Era una persona con orari rigorosissimi. E difficilmente parlava di musica con me. Semmai appunto tra noi c’erano lunghe chiacchierate di cinema.
Franco condiva i discorsi con battute fulminanti, aneddoti che erano quasi comici nel loro surrealismo. E poi ci univa la passione per la letteratura. Interesse comune per libri come La scoperta di G.I. Gurdjeff, che pubblicò anche con l’Ottava o “incontri” come quello con il maestro Thomasson che lo seguì nella meditazione a Milano, e di cui racconta nel suo film Perduto Amor. Mi parlava deIl libro tibetano dei morti, dei grandi mistici, che, mi confidò che voleva tradurre. Ricordo che quando ero direttore editoriale in Bompiani feci a Franco un contratto di curatela e traduzione di un libro di Ramana Maharshi.
Ho conosciuto bene anche Manlio Sgalambro che per Franco fu un’amicizia filosofica, uno scambio spirituale. Manlio approfondì le conoscenze di Franco e Battiato a sua volta rivoluzionò la vita del filosofo Sgalambro portandolo con sé sul palco, a cantare e a incidere dei brani importanti. La loro è stata una comunione di anime. È stato così anche fra noi quando abbiamo lavorato insieme. Franco era straordinario, non voleva mai vedere prima nessuna scena dei miei film. Io gli raccontavo qualcosa, e lui immediatamente capiva tutto, non aveva bisogno di parole, era come se fosse stato nei miei occhi. Poi, alla visione, mi dava altri preziosi suggerimenti. La collaborazione più importante è stata per il film sul fotografo Luigi Ghirri, Deserto rosa.
Franco scrisse una colonna sonora dando voce alle immagini. L’ultima immagine che conservo di lui... è quella di un anno fa, a Milo. Lo andai a trovare. Camminammo, anche se lentamente e con qualche fatica. Mi mostrò i suoi ultimi dipinti. Suonò brevemente il piano. Sentii che il suo pensiero era forte, ma che il corpo lo impediva e lo imprigionava. Ora lo sento più libero che mai. Mi ha lasciato tante cose, comprese tutte le copertine di 22 anni di Milanesiana: sono tutte a firma di Franco Battiato. Ogni anno la sua “Rosa” dipinta interpreta il tema della Milanesiana. Quest’anno è il “Progresso” come il testo di una sua canzone, Gente in progresso in cui dice: «Torneranno di nuovo le piogge riapriranno le scuole. Cadranno foglie lungo i viali. E ancora un altro inverno che porterà la neve e un’altra primavera... ». Era sempre un passo avanti, anche al tempo, il mio caro amato Franco.