Agorà

La riflessione. Impariamo a predicare il Vangelo della terra

Enzo Bianchi mercoledì 28 maggio 2014
Il corpo delle Scritture sante attesta, dalle prime pagine della Genesi alle ultime dell’Apocalisse, la profonda solidarietà – direi quasi la connaturalità – fra cosmo e liturgia. Sin dall’«In-principio», l’opera della creazione segue un andamento pressoché liturgico, che presenta il sorgere del cosmo, suscitato dalla Parola di Dio e orientato verso il giorno del riposo, nel segno dell’alleanza; e la rivelazione del Cristo risorto a Giovanni, che sigilla il Nuovo Testamento, mette in scena una liturgia cosmica che risponde al canto di lode della terra. Ora, queste medesime Scritture, e in particolare i Vangeli, ci portano a contestare un male particolarmente grave e diffuso che affligge la spiritualità occidentale: la schizofrenia tra creazione e redenzione. Dai Vangeli emerge infatti la figura di un Gesù che vive la sua filialità con il Padre in un atteggiamento di grande positività e pace verso la creazione. Gesù narra la parabola del fico e appare chiaro che egli conosce come si coltiva questa pianta, come la si lavora: sa che il terreno va zappato e concimato e solo se il fico non porta frutto dopo alcuni anni, lo si toglie perché non sfrutti inutilmente il terreno (Lc 13, 7-9). Gesù osserva che il grano di senapa è piccolissimo ma, una volta seminato nell’orto, fa una pianta di dimensioni tali che gli uccelli vengono a farvi il nido (Lc 13, 19).Gesù conosce la vita domestica, osserva la donna di casa che impasta il lievito in tre staia di farina affinché fermenti (Lc 13, 20); Gesù conosce la vita dei pastori, sa che se il pastore smarrisce una pecora la cerca e se la trova la riconduce contento all’ovile (Lc 15, 4-5); sa che non si strappa la zizzania in mezzo al grano per non rischiare di estirpare anche questo (Mt 13, 24-30); sa che quando il ramo di fico diventa tenero e mette germogli è ormai vicina la stagione calda (Mc 13, 28); sa che quando una nuvola sale da ponente poi viene la pioggia e che se soffia lo scirocco poi ci sarà caldo (Lc 12, 54-55); Gesù osserva con amore i gigli del campo e gli uccelli del cielo (Mt 6, 25-34), guarda con commozione la chioccia che raduna sotto le sue ali i pulcini (Le 14, 4 )... Gesù ci viene mostrato in un atteggiamento di umanità piena e riconciliata con la creazione, con gli animali, con il lavoro dell’uomo, con la realtà quotidiana che egli sa apprezzare e amare, traendone lezione, consolazione e insegnamento.La vita di Gesù è estremamente attenta alla creazione. Siamo noi che ci siamo costruiti un’immagine ieratica e spiritualizzata di Gesù, ma è un’immagine non conforme al Vangelo e alle parole di Gesù lì confluite. Queste, infatti, sono parole di una persona cresciuta umanamente (nel corpo, nella psiche, nello spirito) «in statura e sapienza, in età e grazia» (Lc 2, 40.52) attraverso il tessuto della ferialità della vita familiare, dell’ambiente della piccola borgata di Nazaret, delle relazioni umane quotidiane. Così il linguaggio di Gesù lascia trasparire dietro a sé un’attenzione amorosa, piena di buon senso e di sapienza, alla vita quotidiana: è linguaggio che aderisce con forza alla realtà. Anche grandi discorsi rivelativi, come il discorso della montagna (Mt 5-7), mostrano in Gesù uno spirito e una capacità di osservazione del reale che si traducono in sentenze sapienziali ricche di insegnamento e rivelazione.Nelle parabole, poi, Gesù assume le immagini della vita quotidiana, del lavoro del contadino, del vignaiolo, del pastore come il linguaggio più adatto a esprimere e significare il comportamento di Dio verso l’umanità. Con le parabole Gesù fa la sintesi di sapienza umana e sapienza di Dio, coglie in unità la storia e la creazione, la nostra vita quotidiana e l’agire continuo di Dio. È in questa umanità piena e semplice di Gesù che va colta la profondità e realtà dell’incarnazione. La nostra santificazione non avviene per altre vie, ma si nutre di un’adesione al reale che passa anche attraverso l’osservazione delle realtà creazionali e umane, dei cicli vegetali e degli astri nel cielo, dei lavori degli uomini e dei comportamenti degli animali, in un atteggiamento di solidarietà, di simpatia e di riconoscimento che tutto è grazia.Si tratta insomma di prendere sul serio il mondo, il creato in cui siamo, e di avere con esso un rapporto pacificato, armonioso, riconciliato. Troppo sovente noi ci diciamo fedeli al Vangelo, ma poi lo leggiamo solo con la mediazione di schemi teologici, nei Vangeli c’è questa realtà quotidiana, umanissima, grazie alla quale soltanto il cristianesimo può evitare di diventare una gnosi o di ridursi a una celebrazione di misteri liturgici. Noi soffriamo ancora di una schizofrenia per cui crediamo che l’essere cristiani ci debba portare a estraniarci, a porci al di sopra della natura, della creazione e della realtà quotidiana; ma così la confessione di fede si riduce alla mera dimensione intellettuale e la liturgia a momento cultuale di rinnovamento del "mistero" staccato dalla vita. Figlio di Dio, parola fatta carne, proprio nell’incarnazione il Gesù dei Vangeli è anche, e anzitutto, un uomo dalla ricca umanità, che sa osservare e riflettere sulle cose e gli eventi della vita fino ad assumerli e farli propri. Se nei Vangeli, in Gesù, non si sa percepire questa dimensione elementare, ma essenziale, allora forzatamente si coglierà la parola di Dio disgiunta dalla vita e quest’ultima sarà di fatto intesa come spazio profano verso cui è sempre prudente un atteggiamento di diffidenza e di sospetto. È tipico di una tradizione spirituale-ascetica consolidata insegnare a negarsi e a prendere le distanze dalle realtà della vita, tanto più se sentite come buone: è atteggiamento angosciato e cinico che privilegia la redenzione sulla creazione. Certamente non è lecito alcun facile ottimismo: in questa creazione, sottomessa alla caducità, c’è il peccato, e tuttavia essa ha come verità ultima non il peccato che la attraversa, ma l’amore di Dio che l’ha voluta buona e che la trascina all’integrità e alla trasfigurazione, affinché il creato diventi la dimora del Regno.