A rischio la riapertura. Povero Maracanã, triste buio e spelacchiato
Il mitico Estádio Mário Filho di Rio de Janeiro, meglio noto nel mondo come Maracanã
Sessantasei anni e rotti dopo, il nuovo Maracanazo è una bolletta della luce non pagata, con i bruchi al posto dei magnifici uruguagi che si divorano l’erba verde, e lasciano dietro di loro solo il brullo, la pelata, il vuoto. A nemmeno cinque mesi dalla fine delle Paralimpiadi, l’Estádio Mário Filho di Rio de Janeiro, meglio noto nel sistema solare come Maracanã, è in stato di completo deterioramento come fosse un Flaminio qualunque, un campo di periferia abbandonato dalla squadra trasferitasi in un posto più moderno, forse migliore.
Un declino rapido, grande e sorprendente come una giocata delle centinaia di campioni che l’hanno popo-lato, cibandosene e offrendo cibo al- la leggenda di quegli spalti, oggi discretamente devastati, con le file dei seggiolini che sembrano bocche sdentate, piene e i seggiolini stessi rotti e accatastati in qualche angolo dell’impianto. Lì a fianco, magari, pezzi di muro divelti, cavi rotti, e quelli ancora interi che risultano comunque inservibili, perché una settimana addietro è arrivato il fischio finale dell’azienda elettrica: cinque mesi e 950mila dollari inevasi dal consorzio Odebrecht, gestore del Maracanã che ha sollevato il contenzioso sugli oneri da quando si è visto di fatto restituire lo stadio, nello scorso autunno, dal comitato organizzatore di Rio 2016. Tra ricorsi, rinvii e carte bollate, lo stallo che ha rapidamente portato allo sfacelo ben rappresentato da un’immagine: quella del campo di gioco, o meglio, dell’ex campo di gioco, un pezzo di terra incolta, privato del tappeto di erba che dovrebbe essere l’epicentro emozionale di qualsiasi stadio.
È stato rimosso a causa dell’invasione dei bruchi, che minacciavano di compromettere ancora di più lo stato del terreno. Il “Tempio” è in coma, e per riportarlo pienamente in vita serve soprattutto lo sforzo di Fla&Flu , Flamengo e Fluminense, le due grandi rivali che lì, in quel catino mitico per tutto il resto del mondo, sono abituati a stare, ad abitare. Entrambe, al di là del portafoglio mai troppo imbottito, stanno aspettando che si volti pagina, un nuovo bando è stato varato, tra le pretendenti c’è anche la Csm, che in Europa muove la Amsterdam Arena. La Federazione dello Stato di Rio de Janeiro, intanto, cerca di rianimare il gigante a terra chiedendo a Odebrecht la disponibilità a riaprire il Maracanã il prossimo 25 febbraio, data di una delle semifinali della Taça Guanabara, praticamente la Coppa carioca, una delle molte feste del Fla e del Flu, ma anche del Botafogo, del Vasco da Gama, nomi che suonano da soli, torcide appassionate che ora rimangono fuori dal cancello, con la saudade davanti agli occhi, ad aspettare la buona novella che serve per annullarla.
La sensazione, o forse la voglia, la speranza, è che se ne uscirà. Nel frattempo, al Maracanã ci entrano bruchi, gatti e ladri, come quelli che hanno portato via all’ingresso il busto di Mário Filho, giorna-lista, che mai e poi mai avrebbe immaginato, anche pro tempore, di raccontare tutto questo.