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Archeologia. Pompei, viene alla luce il panificio-prigione. Come in Apuleio

Redazione Agorà venerdì 8 dicembre 2023

Il panificio-prigione emerso dagli scavi di Pmpei

Un panificio-prigione, dove persone ridotte in schiavitù e asini erano rinchiusi e sfruttati per macinare il grano necessario a produrre il pane. Un ambiente angusto e senza affaccio esterno, con piccole finestre con grate in ferro per il passaggio della luce. E nel pavimento intagli per coordinare il movimento degli animali, costretti a girare per ore con occhi bendati. Il ritrovamento sembra, dunque, confermare la descrizione del celebre racconto di Apuleio dal titolo "L'asino d'oro" contenuto nelle" Metamorfosi". L'impianto è emerso nella Regio IX, insula 10, di Pompei dove sono in corso scavi nell'ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che perimetrano l'area ancora non indagata della città antica.

Le nuove scoperte rendono possibile descrivere meglio anche il funzionamento dell'impianto produttivo in disuso al momento dell'eruzione del 79 dopo Cristo. Il settore messo in luce è privo di comunicazioni con l'esterno, l'unica uscita dà sull'atrio, e nemmeno la stalla possiede un accesso stradale come frequente in altri casi. «Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento - fa notare il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, in un articolo scientifico a più mani pubblicato oggi sull'e-journal degli scavi di Pompei.
«È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro», aggiunge Zuchtriegel. La zona delle macine, nella parte meridionale dell'ambiente centrale, è adiacente alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia. Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle impronte siano in realtà intagli realizzati appositamente per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e contemporaneamente tracciare un percorso, formando in tal modo un percorso circolare, la curva canalis descritta da Apuleio.

«Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma, suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Quest'ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l'animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina», spiega il direttore del Parco. L'usura dei vari intagli può dipendere dagli infiniti giri, sempre uguali, svolti secondo lo schema predisposto nella pavimentazione. L'ambiente riaffiorato, con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro raccontato nella mostra "L'altra Pompei: vite comuni all'ombra del Vesuvio", che sarà inaugurata il 15 dicembre alla Palestra grande degli scavi dedicata a quella miriade di individui spesso dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione e il cui lavoro contribuiva in maniera importante all'economia, ma anche alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana.