Agorà

LETTERATURA. Pomilio oltre l’oblio

Pasquale Maffeo venerdì 20 novembre 2009
Richiama alla riscoperta il convegno fiorentino che su Mario Pomilio si tiene tra Santa Croce e Fiesole oggi e domani, promosso dalla Comunità di San Leolino: provocatorio, eccome, nel piccolo marasma d’una proliferazione letteraria ( narrativa e poesia, ma ci s’infila anche il teatro) di cui arduo sarebbe indovinare destinazioni e sensi. Laicamente si naviga alla deriva. Cadute le ideologie, rimane la fede a chi la possiede. Pomilio possedeva la fede in Dio e la fede nell’arte, credeva nell’imperscrutabile opera divina e nelle scrutabili opere umane. Aveva la sua bussola. L’ago gli orientava il rigore intellettuale, la fedeltà alle idee e ai valori, l’intransigenza che non faceva sconti né a sé uomo e scrittore né ai mediocri che in ogni tempo affollano i circuiti della letteratura e dell’arte. E allora poniamo occhio e mente al quadrante, leggiamo qualche sua dichiarazione. Per esempio, questa: « Essere scrittori significa anzitutto aderire alla realtà muovendo da una prospettiva filosofica e spirituale complessa e articolata, e non procedendo per dilettantesche improvvisazioni » ( Il Popolo di Milano, 7 aprile 1955). E quest’altra: « In narrativa è importante anzitutto ciò che dà risalto a una vicenda morale; di qui il nocciolo della mia poetica, che una volta riassunsi così: il romanzo comincia là dove lo scatto morale dello scrittore richiama a sé la materia e la solleva a significato » ( Scritti cristiani. In lui « lo scatto morale » eleggeva filoni tematici, plasmava, definiva e illuminava dall’interno percorsi inventivi e in essi protagonisti e gregari di storie o romanzi che a partire da L’uccello nella cupola ( 1954) e fino all’estrema incompiuta prova Una lapide in via del Babuino ( 1991), passando per La compromissione ( 1965) e per Il quinto evangelio ( 1975), a tacere del resto, mai deflettono da una linea ispirativa che attraversa contesti i più imprevedibili e vari, solitudini spirituali, euforie collettive, periferie d’esistenza, rimasticazioni, disagi, speranze, vicissitudini e casi prossimi o remoti: per indagarli, capirli, ricondurli quanto possibile entro un orizzonte d’intelligenza cristiana. Il suo capolavoro si staglia unico come un epos a coronare un secolo. E qui si aprirebbe un discorso sulle stagioni, i profetismi, i realismi, gli avanguardismi che nei decenni hanno riempito le cronache non tutte poi filtrate dalla storiografia che accredita la seconda metà del nostro Novecento. Del discorso basti rilevare un dato sinora pressoché ignorato dagli studiosi, questo: che Pomilio fu attento lettore e interprete del nuovo, diciamo pure della svolta, che il Concilio Vaticano inaugurava e incardinava in un dinamismo evangelico aperto a fecondare il presente e il futuro della Chiesa. Non solo. Egli fu altresì lucidissimo lettore delle encicliche papali, giovannee e paoline, dalle quali traeva spunti per la riflessione, avvio e lumi a un chiarimento di identificazione e collocazione. La sua dilatata meditazione su « Cristianesimo e cultura » giunse a costituirlo testimone per via teologica, come dichiarava da una posizione di frontiera nel 1979: « Paradossalmente fare teologia è l’unico modo, per il cristiano in quanto tale, di fare cultura, d’offrire un contributo autonomo e originale al discorso culturale del proprio tempo » . E aggiungeva: « Ecco come oltre tutto ' fare teologia', coniugare col Vangelo le culture umane o, come vuole la Evangelii nutiandi, raggiungerle e quasi sconvolgerle dal di dentro mediante la forza del Vangelo modificandone i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, può rispondere, specie oggi, alle stesse fondamentali esigenze della convivenza civile» (Scritti cristiani). Non sorprende dunque che già negli inizi egli assumesse una tematica religiosa che d’istinto lo piegava a scavare nelle profondità pluridimensionali dell’uomo, esponendolo controcorrente a destituire di fondamento il credo neorealista che adottava il dogma ideologico dell’unidimensionalità: senza baldanza sì, ma con una misura che ben ne definiva la coscienza, il coraggio, la tenuta. Il suo lascito lo ritroviamo integro, carico di intimazioni, compatto e prensile nella godibilità della scrittura. L’attenzione critica non cessa di discernere e approfondire. Si vedano due libri freschi di stampa: Lo scrittore problematico di Simone Gambacorta ( Galaad, Giulianova), volume che scandaglia e acclara per interviste; e All’uscita del tunnel di Ferdinando Castelli ( Libreria Editrice Vaticana), mappa planetaria della letteratura novecentesca di segno etico che inquadra per scomparti. Ce n’è d’avanzo a legittimare la domanda che circola ormai da anni: quando arriverà il Meridiano dovuto a Pomilio?