Del suo nome epico ne va fiero. «Achille si chiamava mio nonno ». E nel nome è racchiusa tutta la grinta e l’animo da guerriero di Achille Polonara, ala della Grissin Bon Reggio Emilia e giovane talento della nostra pallacanestro che il 22 febbraio riceverà il premio Reverberi, l’Oscar del basket italiano. Originario di Ancona, 24 anni e 205 cm di altezza, è esploso in serie A con Teramo dove al termine della stagione 2011-2012 è stato eletto miglior under 22 del torneo. La conferma a suon di schiacciate a Varese che lo ribattezzò
Polonair. Poi nel 2014 l’approdo alla corte di coach Menetti a Reggio Emilia per formare insieme con Aradori e Della Valle quella legione italiana che sta facendo le fortune della Grissin Bon. L’anno scorso un campionato esaltante culminato nella prima storica finale scudetto persa d’un soffio nella settima e decisiva gara contro la Dinamo Sassari. Ma nel 2015 è finita comunque in bacheca la prima Supercoppa Italiana ai danni proprio di Sassari e della favorita Milano in finale. Campione d’inverno nella stagione in corso, la Grissin Bon è tuttora al comando della Serie A insieme con la Vanoli Cremona e l’Olimpia Milano (che ha però una gara in meno).
Reggio Emilia da tempo non è più una sorpresa. Qual è il vostro segreto? «Siamo una grande famiglia. Ci conosciamo già da qualche anno e siamo amici anche fuori dal campo. Oltre ai vari Lavrinovic, Kaukenas e Silins quest’anno sono arrivati giocatori importanti che si sono subito integrati, come Veremenko. Poi c’è il blocco di noi italiani che sicuramente aiuta a rendere il gruppo più solido. Con Aradori e Stefano Gentile giocavamo insieme in Nazionale già anni fa».
Gli infortuni rischiano però di compromettere il vostro cammino. In Eurocup siete stati eliminati in una partita in cui non avevate nemmeno dieci giocatori da mettere a referto. E lei è stato l’ultimo ad arrendersi con 24 punti e 10 rimbalzi. «Purtroppo siamo in uno stato di emer- genza, con tanti titolari fuori. Dobbiamo cercare di rimanere concentrati e quelli che sono in salute devono dare il 200%. Non possiamo abbassare la guardia e dobbiamo dare tutti di più. Vogliamo vincere la coppa Italia e mantenere il primo posto in campionato ».
Milano vi fa paura? «Rimangono i grandi favoriti per lo scudetto perché l’Olimpia quest’anno si è rinforzata ulteriormente. Ma è un campionato dove tutti possono giocarsela con tutti e ai playoff può succedere di tutto come l’anno scorso. Per noi è stata una grandissima stagione e vogliamo provare a riscattare la delusione di quella finale persa».
Gigi Datome di recente ha rilanciato la polemica sui pochi italiani nel nostro campionato. «Datome ha ragione. Le regole attuali non aiutano gli italiani a crescere e gli stranieri sono troppi. Sicuramente il libero mercato spinge i giovani emergenti a darsi da fare di più. Però non è la stessa cosa uscire dalle giovanili e fare esperienza nelle serie minori anziché in serie A».
Lei ha cominciato nella sua città. «Sì, ho iniziato ad Ancona. Ho giocato lì fino a 15 anni poi sono andato a Teramo a cui son rimasto molto legato e mi dispiace per come sia finita la società... I teramani vivono per il basket e se oggi ho raggiunto certi risultati lo devo a loro, soprattutto agli allenatori Capobianco e Ramagli che mi hanno lanciato. A Teramo ho tuttora i miei migliori amici e conservo grandi ricordi come i 20 punti nel derby contro Montegranaro».
Nel suo futuro c’è ancora Reggio Emilia, ha da poco rinnovato il contratto fino al 30 giugno 2017. «Sono molto felice. È una squadra basata su italiani, ha un progetto che valorizza i giovani ed è attualmente una delle società italiane più solide ».
All’Nba ci pensa mai? «È un sogno, ma per ora preferisco rimanere coi piedi per terra e far bene in Italia. Certo se ci fosse l’occasione mi piacerebbe eccome. I miei idoli da bambino sono stati Larry Bird e Scottie Pippen, infatti ho sempre indossato il numero “33”. A Reggio con la vecchia numerazione ho preso il “6”, ho fatto 3+3».
La Nazionale invece è attesa dall’importante torneo preolimpico in programma dal 4 al 9 luglio a Torino. «Ci conto tantissimo. Da trequattro anni nel giro della Nazionale, l’anno scorso ho partecipato all’Europeo anche se ho giocato poco. Non conosco direttamente Messina ma a detta di tutti non solo mia è ora il miglior allenatore italiano. A Torino non sarà facile con Grecia e Croazia, ma giochiamo in casa e possiamo farcela».
Il 22 febbraio riceverà il premio Reverberi, assegnato ogni anno al miglior giocatore italiano della passata stagione. Pallacanestro L’ala della Grissin Bon Reggio Emilia, miglior cestista italiano nel 2015: «Merito di una società che crede nei nostri giovani. Ora vogliamo Coppa Italia e scudetto Alla mia famiglia devo tutto, anche la fede Aiutando i meno fortunati ho capito che la vita non va sprecata» «È una grande soddisfazione. Basta vedere l’albo d’oro per trovarvi tanti campioni da Myers per finire ad Alessandro Gentile. Ma l’ho vinto grazie al lavoro di squadra, alla fiducia dello staff tecnico e di tutta la società reggiana».
A chi lo dedica? «Alla mia famiglia. Ho scelto il basket perché ho un fratello giocatore più grande di me di 7 anni che ho sempre visto come un esempio da seguire. E i miei genitori mi hanno sempre seguito e mi sono vicini anche nei momenti difficili. Sono molto credenti e devo a loro anche il dono della fede».
Si è impegnato di recente a favore del Cus Padova Basket in Carrozzina. «Vero, grazie al mio compagno di squadra De Nicolao che conosce da vicino questa realtà. Abbiamo messo all’asta del nostro materiale per l’acquisto di carrozzine nuove e magliette da gara. Sono felice di essere stato coinvolto in questo progetto in cui abbiamo raccolto quasi 10mila euro. Non ho avuto ancora il piacere di incontrare direttamente questi ragazzi ma son convinto che hanno una passione per il basket fuori dal normale. Ho anche dato una mano allo Slums Dunk di Bruno Cerella e Tommaso Marino il progetto che promuove la pallacanestro nelle baraccopoli africane. Aiutare chi è meno fortunato di me, mi esalta e mi fa riflettere».
A che cosa in particolare? «Al fatto che bisogna gioire della vita e non sprecarla. Amo molto la compagnia degli amici, mi piace leggere, sto finendo la biografia di Mike Tyson... Ma se devo dire il giorno più felice della mia vita è quello in cui ho conosciuto la mia ragazza».
C’è un regalo ricevuto a cui tiene più di ogni altro? «Un braccialetto regalatomi da mia nonna a cui ero molto legato... Purtroppo ho la fortuna di conoscere solo questa nonna, la moglie di nonno Achille. Ricordo sempre che da piccolino passeggiando con lei la gente si fermava in strada per salutarla perché era una donna che si faceva voler bene e rispettare da tutti. È qualcosa che mi ha trasmesso anche mio padre: “Rispetto per tutti, paura di nessuno”».