Sport e politica si sono date un appuntamento. Al buio. E non solo perché la data dell’incontro non è stata ancora ufficializzata. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e quello del Coni, Giovanni Malagò, come ha recentemente annunciato quest’ultimo, si vedranno probabilmente nei prossimi giorni. Sanno di avere bisogno uno dell’altro, ma il rapporto è per forza sbilanciato. Complice l’errata prospettiva di un Paese che considera ancora lo sport soprattutto come un costo. E non come un investimento. Malgrado continui a valere l’1,6% del Pil, e addirittura il 3,2% considerando l’indotto.Lo stesso Malagò in questi giorni ha ricordato che il Coni, finito il tempo del Totocalcio con cui si era da sempre finanziato per mantenere tutto il mondo dello sport, «ha consegnato i propri asset allo Stato che fornisce i fondi, sempre di meno. In pochi anni siamo passati da circa 500 a poco più di 400 milioni annui. Io cerco di fare il possibile per trovare altri introiti, ma non è facile. Comunque ho fiducia perché questo governo ha sensibilità per il mondo dello sport».La speranza è che sia vero. Prima ancora che per lo sport, per l’Italia. Che nel 2013 ha toccato lo sconfortante dato del 42% di adulti sedentari, il dato peggiore degli ultimi 12 anni. Con tutte le inevitabili ricadute in termini sanitari e di decadimento psico-fisico che la rinuncia all’attività sportiva comporta. Per questo recuperare terreno è una questione di civiltà e di salute, ma anche economica per il nostro Paese, che con due sole ore di educazione fisica obbligatoria nella scuola secondaria (Inghilterra, Francia e Germania ne dedicano il triplo) è l’ultimo in Europa.Questa urgenza è ben presente nei programmi del Coni. «Dobbiamo ridisegnare il rapporto tra scuola e sport – ha detto Malagò –. Le società sportive da sole non ce la fanno, lo Stato da solo nemmeno, allora occorre trovare un accordo, creare un’associazione temporanea di imprese governo-stato-privati e ridare slancio e prospettiva allo sport di base». La proposta del presidente del Coni è chiara sin dal giorno della sua elezione, poco più di un anno fa: «L’idea è che dopo la scuola, l’impiantistica degli istituti, dove esiste, sia gestita da società private, come succede all’estero – ha spiegato Malagò –. In questo modo le società sportive possono lavorare su un progetto e investire sull’impiantistica scolastica». Secondo una stima abbastanza attendibile, servirebbero 4 miliardi di euro per mettere a norma le palestre delle scuole italiane. Una cifra certamente al di sopra delle possibilità attuali di spesa. «Come funzionario pubblico – ha ammesso Malagò -– la spending review mi preoccupa, ma ho già parlato con il ministro Stefania Giannini e spero che si possa partire con una discussione proficua. L’incentivazione dello sport di base è uno degli obiettivi che mi sono posto e la scuola è centrale. Fare sport solo attraverso le società sportive è complicato. Pensiamo poi anche agli spostamenti che fanno le famiglie ogni giorno per accompagnare i giovani in impianti magari lontani. Se si potessero usare le scuole, molti disagi sarebbero ridotti».Le premesse in verità non sono incoraggianti, visto che il primo “contatto” tra questo governo e il mondo sportivo è stata la riduzione della quota esentasse dei rimborsi spesa per le attività sportive dilettantistiche dagli attuali 7.500 euro a soli 2.000 euro annui. Il provvedimento – addirittura con applicazione retroattiva già dal 1 gennaio 2014 – è contenuto nella bozza del Decreto Irpef e se venisse approvato, aprirebbe scenari inquietanti per atleti, allenatori, arbitri e dirigenti che hanno il solo vizio di fare (e far fare) sport senza alcun guadagno personale.All’incontro con Renzi comunque, lo sport italiano non si vorrebbe presentare con il cappello in mano. «Non parleremo solo di soldi – promette Malagò –. Con il presidente del Consiglio affronterò i temi della candidatura olimpica, dello sport di base, del credito sportivo...». In particolare, ha sottolineato, «mi preme arrivare ad una legge quadro che contenga tutti gli argomenti che riguardano il nostro mondo, perché non possiamo più essere legati a interventi “una tantum” come hanno fatto finora i governi senza una visione d’insieme».Il primo obiettivo, senza il quale tutti gli altri diventerebbero più difficili da raggiungere - sarà comunque quello di scongiurare la riduzione dei 411 milioni annui destinati dallo Stato allo sport. «Non vivo sulle nuvole – dice Malagò – ma abbiamo avuto già molti tagli e farò di tutto per evitare di subirne altri».Successivamente si aprirà lo spinoso capitolo della divisione dei contributi. E qui a rischiare il ridimensionamento maggiore sarà la Federcalcio, che difficilmente manterrà i 62,5 milioni annui che incassa ora. Al di là delle note perplessità di Malagò sul calcio di vertice e i suoi investimenti, il Coni ha già fissato criteri appositamente poco interpretabili, come trasparenza, numero di tesserati e società. A contare però saranno anche i risultati olimpici e dei campionati del mondo. Ma per sapere quanto ogni federazione guadagnerà o perderà con i nuovi parametri di assegnazione dei contributi, bisognerà attendere ancora.