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L'intervista. Gragnaniello: il futuro? È nella poesia

Andrea Pedrinelli giovedì 9 luglio 2015
È stato il primo artista pop a tenere un concerto al San Carlo di Napoli, tempio della lirica; la sua musica è passata dai vicoli al Premio Tenco e da Sanremo al G7 del ’94, per la cui colonna sonora fu scelta una sua canzone; ha scritto capolavori per Mia Martini e rilanciato nel mondo sia la musica partenopea che il suo padre nobile Roberto Murolo, che a lui si appoggiò per l’ultima rentrée, Cu’ mme, canzone ancor oggi notissima in Spagna come in Brasile. Parliamo di Enzo Gragnaniello, napoletano doc (è nato nel 1954 nella stradina più stretta di Napoli, vico Cerriglio) e artista capace di rinnovare il linguaggio della nostra musica popolare portandolo su ribalte mondiali: sin dal primo disco del 1983 per arrivare al recentissimo Misteriosamente. Cd che con pezzi di altissimo profilo racconta spazzatura per le strade, dignità della gente perbene, futuro da inseguire, spiritualità e un compagno di scuola – il cui nome era Pino Daniele – che se n’è andato troppo presto. Misteriosamente conferma di Gragnaniello classe, sensibilità e pudore: perché che Il viaggio di un amico, lo strumentale di chiusura del disco, sia per Pino Daniele lui non lo scrive da nessuna parte. In compenso, canta parole forti. E per drammatico paradosso ciò che dice ora sulla crisi da cui smarcarsi e il lavoro che manca, è simile a quanto diceva all’inizio: da leader dei Banchi Nuovi, nome della band “scippato” nel ’77 al comitato dei disoccupati organizzati di cui l’artista allora faceva parte. Che il disco odierno di Enzo Gragnaniello parli di attualità oltre che dell’uomo, dunque, è segno di qualità: ma certo sgomenta un po’. Gragnaniello, che effetto le fa dover tornare con le canzoni su tematiche tipiche della crisi dei ’70? «È un effetto strano. Anche perché già allora io mi sentivo un po’ isolato, a provare a rispondere alla crisi non per slogan ma descrivendo quanto vedevo. Però c’è da dire questo: nel resto del Paese la crisi di oggi è un fatto legato anche alla globalizzazione degli ultimi tempi, mentre a Napoli la crisi è perenne. Nel senso che Napoli conserva di sé nel tempo sia il bene che il male: chi ha una sensibilità si evolve, chi non risponde al destino no. Quindi non è molto diversa, la Napoli di oggi, rispetto al ’77». E le prospettive per rispondere alla crisi? Mutano? «Quelle sì, almeno per me. Da un lato, Napoli ti mette di fronte la spazzatura, poi alzi gli occhi e vedi il mare, la montagna, la collina… Come dire, da noi basta sempre alzare gli occhi per capire il senso delle cose e non continuare a scavarci la fossa da soli. Da un altro lato, oggi è quantomai urgente riscoprire certi valori: le radici, la poesia, il sacro. Senza ciò, oggi, non c’è futuro». Ma c’è chi le ascolta, canzoni che ne parlano? «Non conto i numeri, mi limito a farle. La musica cui lavoro deve poter arrivare a tutti, non solo a chi non segue i codici o a chi guarda oltre le mode. Penso allo spirito che deve esserci nella canzone, non al suo involucro esterno: uso la voce e gli umori musicali per parlare all’essenza dell’uomo. Ovvero a cuore, sensibilità, spiritualità». Per lei che significa la spiritualità nella musica? «Spiegare l’invisibile è dura… Diciamo che quella parte di noi non va alimentata a cattive notizie, dalla spazzatura in poi. Bisogna tentare la poesia: come disinfettante, come dare acqua a una pianta». Chi è la Maria del brano Senza più Maria? «È una donna nella prima lettura, la donna punto di riferimento di sempre: madre, educatrice, amante… Ma è anche la Madonna. Maria come esempio di risposta vincente all’oggi e come spunto per riflettere». Perché il pezzo per Pino Daniele non ha il suo nome? «Non ho neanche pensato a un testo, sa? Ci siamo visti spesso, negli ultimi tempi, in Toscana da lui. Mi parlava di un disco nuovo. Non volevo parlare di Pino ma parlare a Pino: in silenzio, usando solo la musica. Una chitarra come piaceva a lui, una melodia col suo gusto musicale… sperando che mi senta da dov’è ora». Dove Pino è ora c’è anche Mia Martini, che la rese noto come autore. Vent’anni dopo la sua morte, nessun ricordo se non sulla tv svizzera: che ne pensa? «Penso che Mimì era al contrario di quanto dicono. Aveva un sorriso infinito, amava ridere e cucinare. Sul palco mi presentava come “il sole”, ma anche lei non era certo cupa come troppi hanno raccontato». Il disco che ha preceduto Misteriosamente è Radice, del 2011. Aspetterà ancora così tanto? «Non mi pongo il problema. Un artista deve riempirsi di emozioni per emozionare. Quindi prendersi il tempo per contemplare, riflettere, magari confrontarsi con altri. Poi la musica viene da sola, e però solo così può dare qualcosa agli altri». Scusi una domanda: ma lei che cosa c’entrava con Sanremo, cui ha partecipato nel 1999? Aveva senso? «Certo non mi affascinò (ride, ndr). Però provare non è mai sbagliato, poi andavo con Ornella Vanoni. La canzone, Alberi, era difficile, ma per me è stata un’esperienza. Sicuramente però faccio musica in modo diverso da quello che ho visto lì, è vero».