Intervista. Pizzul: «Il nostro calcio mi piace e mi tiene sveglio»
Chi, come noi, ama il giornalismo sportivo di letteratura, parlare di calcio con Bruno Pizzul è come per Roberto Benigni dialogare, idealmente, con Dante. È una questione di sensibilità umana e linguistica quella che fa del Bruno da Cormons, l’ultimo baluardo della tradizione telecronistica nazionalpopolare. Il calcio spiegato al popolo, con sagacia e ironia furlana, rimane, a 85 anni, li compie oggi 8 marzo, ancora la sua missione involontaria.
Pizzul, buon compleanno prima di tutto. Ma nel suo buen retiro di Cormons continua a seguire il calcio con la stessa puntualità e passione professionale dei tempi della postazione in tribuna stampa?
Grazie degli auguri. Forse il calcio lo seguo anche di più, perché qui nel mio eremo friulano posso farlo stando tranquillamente seduto in poltrona, con la possibilità di una dormitina se le vicende in campo lo consentono. E tutto ciò alimenta la mia atavica pigrizia. La quale però, viene interrotta dalla richiesta di testimonianze, come il commento ai gol della Serie A per Dazn o qualche emittente che mi domanda dello stato di salute dei nostri club impegnati nelle competizioni europee.
Ecco, per l’appunto: 7 italiane ancora in corsa nelle Coppe, 3 in Champions (Napoli, Inter e Milan) due in Europa League (Juventus e Roma) e due in Conference League (Lazio e Fiorentina). Siamo tornati alla Serie A delle “sette sorelle” degli anni ’90 con Bruno Pizzul in telecronaca diretta?
L’esito di queste ultime tornate europee sono state molto più confortanti rispetto alle previsioni e le nostre sette squadre hanno dimostrato una buona competitività, segno che all’estero gli altri tornei non sono poi così popolati di fenomeni contro i quali il confronto diventa tutt’altro che impossibile.
Ma il suo amico e conterraneo, Fabio Capello da Pieris sostiene che forse in Europa League e in Conference abbiamo anche delle chance di arrivare fino in fondo, mentre in Champions il gap con la concorrenza straniera è ancora assai marcato.
Non mi permetterei mai di contraddire un tecnico di esperienza mondiale come Fabio – sorride divertito -. Credo comunque che sia vero quello che dice Capello: le squadre di lustro per attitudine alla vittoria finale e per potenza economica, risiedono ancora in Inghilterra e in Spagna. Ma va anche detto che questo Napoli, che anche i più scaramantici tra i sostenitori partenopei converranno che ormai ha lo scudetto in tasca, ha un gruppo e delle individualità di primo piano. E fino a quando saranno nel tabellone europeo, anche Milan e Inter, così discontinue in campionato, aprioristicamente non possiamo considerarle fuori dai giochi nella corsa alla Champions.
Stasera Tottenham-Milan (ore 21 Prime) è una sfida cruciale, soprattutto per i due tecnici: Antonio Conte che guida i londinesi e Stefano Pioli campione d’Italia in carica con i rossoneri. Pizzul, lei che li ha visti crescere, prima ancora come calciatori, immaginava per i due un cammino di primo piano anche come allenatori?
Sì e spiego il perché. Di Conte, anche quando ha cominciato da seconda voce in telecronaca come me, a La7, ho sempre ammirato la lettura lucida delle partite, la grinta e l’autostima feroce e quella capacità di mettersi in competizione con gli altri che ne fanno un autentico leader. Certo Antonio ha un carattere non facile... A differenza del più mite Pioli che fin dagli esordi da difensore nel Parma mi aveva impressionato per il suo spirito pratico ed essenziale che ha trasposto nel ruolo di allenatore: Stefano sa fare di necessità virtù senza mai fossilizzarsi in scelte precostituite. Quest’anno qualche scivolone il Milan l’ha avuto, ma è tornato in carreggiata e questa sera in caso di passaggio del turno Pioli potrebbe ricalibrare al meglio il finale di stagione.
Sembra la sintesi finale di una delle sue mitiche telecronache. Ma le ultime generazioni di telecronisti come si stanno comportando?
Sono quasi tutti molto bravi e preparatissimi, specie sotto il profilo tecnico-tattico. Non condivido molto la tendenza a spettacolarizzare al massimo il commento, con il rischio calcolato di sovrapporre il protagonismo del telecronista ai veri protagonisti in campo. Il vero telecronista è un po’ come il buon arbitro, meno se ne parla e meglio è, altrimenti diventano dei personaggi ingombranti e poco utili.
Sempre Capello, si è schierato dalla parte dei nostri allenatori “vittime” del protagonismo degli arbitri, sottolineando che se Liverpool-Manchester United l’avesse diretta un fischietto italiano si sarebbero «visti 140 cartellini ».
Mi fa sorridere ancora Capello, ma dice l’ennesima verità. Nelle ultime esibizioni i nostri arbitri si vede che cercano di fischiare un po’ meno, ma poi si percepisce che molti di loro non possiedono il senso della misura: capita che lascino correre su episodi assurdi e invece non sorvolano su altri più banali cui il limite tra regolare e irregolare è assai labile. Il Var poi frequentemente non aiuta l’arbitro... Sento dire che c’è allo studio un nuovo sistema in cui il miglior collegamento tra Var e direttore di gara consentirà di spiegare ai calciatori e alla gente allo stadio il perché della decisione presa. Salvo poi - sorride - incorrere nel pericolo che anche se spiegata in maniera esemplare, quella decisione potrebbe rivelarsi sbagliata e pregiudicare comunque il risultato della partita.
Messaggio ricevuto forte e chiaro. Linea dunque ai festeggiamenti. Cosa si aspetta per oggi?
Immagino che diversi amici verranno a fare la questua qui in casa, perché vogliono bere il mio vino. Spero che non siano in tanti a ricordarsi che oggi compio 85 anni... Ma solo perché il vino potrebbe non bastare per tutti... RISERVATA