Musica. Pippo Pollina, il canto dell'antimafia
Il cantautore palermitano Pippo Pollina è una star in Germania: il nuovo album in trio con Werner Schmidbauer e Martin Kalberer
Uno sguardo rivolto al Nord, per un viaggio alla ricerca di un lavoro e di una vita migliore. Un tempo erano gli emigranti italiani a guardare verso il Nord Europa, oggi, il Nord cui affida le sue speranze un Sud affamato e disperato siamo diventati noi. A cantarlo è Pippo Pollina, che dà voce ai sogni dei migranti ne La città dei bianchi, lui che ventenne se ne andò dalla Palermo degli anni ’80 dove aveva fondato il gruppo folk degli Agricantus, viaggiando per il mondo chitarra alla mano sino a trovare la sua casa in Svizzera e il suo strepitoso successo nei Paesi di lingua tedesca: 23 gli album in lingua italiana e 3000 i concerti in 30 anni di carriera. Ed ora torna con Suden II (per Storiedinote.fr, distribuzione Egea), un album che arriva a 7 anni dal precedente Suden, un incontro speciale fra lingue e culture. Pippo Pollina, il cantautore bavarese Werner Schmidbauer e il polistrumentista Martin Kalberer firmano un nuovo album, 15 tracce, 7 in italiano e 7 in tedesco, sempre giocate sullo scambio dei suoni e degli idiomi in un incrocio fra canzone d’autore italiana e tedesca. Il 54enne Pollina suonerà Suden II live l’8 maggio al Teatro Massimo di Palermo, mentre a novembre tornerà in Italia per ripercorrere i suoi 30 anni di carriera.
Pippo Pollina torna a cantare il Sud 7 anni dopo, in un’Europa che nel frattempo è cambiata…
Questo progetto costituisce un precedente eccezionale, nella canzone d’autore d’Europa, specie in questo momento storico in cui i nazionalismi ritornano a essere forti e ad abitare le politiche di diversi paesi europei. Suden è uno spettacolo dal valore politico, che rilancia l’Europa delle culture, che non è l’Europa del globalismo economico dell’euro. L’Europa della cultura è l’unica che ci salverà perché la cultura unisce, tutto il resto ci separa. Le questioni importanti della nostra vita non sono facili, sono complesse e non possono essere spiegate in due parole, come pretendono politici, giornalisti, televisioni. In questo mi sento distante anni luce dal modo in cui in Italia si confrontano le idee, in cui tutto diventa rissa, diventa fuffa.
E cosa hanno da dire, allora, insieme un cantautore italiano e uno tedesco?
Sette anni dopo, le tematiche riguardo al Sud non sono cambiate. Werner arriva dalla Baviera che è il sud del mondo germanico, io dal punto più a sud dell’Europa che è la Sicilia. Insieme sosteniamo che c’è un Sud da tutte le parti. Tutto è relativo. Soprattutto i problemi dell’immigrazione che sono diventati più grandi di quanto non fossero dieci anni fa e che ci sentiamo in dovere di ricantare attraverso canzoni nuove.
Come vede l’Italia di oggi?
Io sono allibito da quello che sta succedendo, specie in Italia che ha fatto un salto indietro di 30 anni. Come è possibile che diritti assodati ora vengano ridiscussi? Evidentemente l’Italia aveva un potenziale di razzismo importante che adesso sta emergendo in tutta la sua virulenza. Per quanto l’Italia sia un paese di forte emigrazione nel passato e nel presente. Purtroppo ci sono centomila ragazzi che prendono e se ne vanno ogni anno, purtroppo sono quei ragazzi che la pensano in modo diverso. Ma come dargli torto? Al posto di questi ragazzi sarei il primo ad andarmene.
Anche lei, però, per suonare ha dovuto lasciare l’Italia?
In Italia il mio mestiere non si può fare, sei schiavo di tante cose che non ti consentono di fare un lavoro culturale con la musica e le canzoni. Se ti pieghi alle logiche commerciali forse puoi lavorare, ma se pensi che la canzone sia una parte importante della cultura popolare, non si sopravvive.
Lei andò via anche da Palermo, dopo l’assassinio da parte di Cosa Nostra del giornalista Pippo Fava nel cui giornale lei lavorava.
Li ho conosciuti nel 1983 quando avevo 20 anni e frequentavo il secondo anno di giurisprudenza perché volevo fare il giornalista d’inchiesta. Un mio compagno di corso mi mostrò un nuovo giornale, I siciliani, e ho capito che mi sarebbe piaciuto scrivere in quello che era il primo giornale antimafia. Con altri tre compagni di università andammo da Fava per chiedere il praticantato. Ci disse: “Facciamo una cosa, io vi metto nelle condizioni di fare un inserto nel giornale che chiameremo Siciliani giovani, in cui farete esperienza giornalistica a 360 gradi, dall’impaginazione alla redazione”. Quella è stata la ricchezza, purtroppo però l’ho visto solo tre volte perché poi l’hanno fatto fuori. Era un uomo che aveva un entusiasmo, una voglia di vivere bellissima, un amore per il mondo giovanile che coinvolgeva. Quando lo uccisero, l’esperienza si concluse. Alla fine, nel 1985 ho deciso di prendermi un momento di pausa e partire per un viaggio. Andando via ho capito che non sarei più tornato, perché me la passavo meglio dove stavo.
Lei ha scritto anche un brano dedicato a don Pino Puglisi.
E se ognuno fa qualcosa l’ho scritto molto dopo la sua uccisione, conoscendo in Svizzera alcuni volontari del Centro Padre Nostro del quartiere Brancaccio. Una realtà importantissima che vado a trovare ogni volta che mi reco a Palermo: è lì che è nata l’ispirazione per il brano.
Cosa apprezza della sua italianità il pubblico straniero?
In Italia ho un pubblico di nicchia, ma affezionatissimo che amo molto e che per forza di cose mi capisce di più. Il pubblico madrelingua tedesca è fantastico e mi consente di esistere. Sto scoprendo che l’italiano è una lingua che piace moltissimo in tutto il mondo. Purtroppo la cultura italiana che godeva anche di un grosso apprezzamento, sta vivendo un crepuscolo. Non abbiamo più Eco, Pasolini, Dario Fo, i grandi registi del neorealismo. E neanche i Dalla, De Gregori, Guccini, Paolo Conte. Abbiamo ben poca cosa.
Quindi cosa spera per il futuro? Ho due figli, un maschio e una femmina di 26 e 23 anni che fanno i cantautori. Ho grandi speranze perché il futuro del pianeta sta nelle mani dei giovani: spero che abbiano quel senso della prospettiva che non abbiamo avuto noi che non siamo stati capaci di mettere un freno a questo mondo che vedeva nell’arricchimento materiale l’unico modo per stare su questo pianeta.