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Il compositore. Piovani: «La mia lirica è in formato famiglia»

Giacomo Gambassi sabato 1 giugno 2024

Nicola Piovani

Ha aperto un nuovo capitolo della sua carriera Nicola Piovani. È quello della musica lirica e sinfonica che, come lui stesso ammette, aveva trascurato. A 77 anni il maestro d’origine romana continua a mettersi in gioco e a conquistare il pubblico con la sua musica che “è pericolosa”, come gli disse una volta Federico Fellini. «Certo, sulla spiaggia, con la chitarra, davanti a un falò, Baglioni è più adatto di Bruckner», scherza il pianista e compositore premio Oscar. Vinto con La vita è bella di Roberto Benigni. Oltre duecento le colonne sonore firmate dall’ecclettico “pittore con le note”. Poi le canzoni, fra cui quelle composte a quattro mani con Fabrizio De André. E ancora le musiche per il teatro, la commedia musicale, le musiche da concerto. Fino al 2022 quando debutta a Trieste la sua prima opera lirica, Amorosa presenza, ispirata al romanzo di Vincenzo Cerami, amico e compagno d’avventure professionali. Nei giorni scorsi l’esordio a Bari della sua seconda opera, stavolta per i ragazzi: Il labirinto di Creta. Poco più di un’ora di musica “formato famiglia” commissionata dal Petruzzelli dove è andata in scena in un teatro tutto esaurito nelle tredici repliche in sette giorni e dove non si è riusciti a soddisfare la mole di richieste arrivate dalle scuole e dal «pubblico di domani che è già quello di oggi», come lo definisce il sovrintendente Massimo Biscardi, ideatore del progetto. Arianna e il suo filo, l’eroe Teseo, il re Minosse, il mostruoso Minotauro sono al centro del titolo di cui Piovani è anche coautore del libretto e della regia secondo una concezione di opera d’arte totale che fa venire in mente Richard Wagner. Davanti all’orchestra del teatro pugliese, per cinque spettacoli, proprio il compositore che ha alternato il podio alla scrittura di un suo nuovo lavoro destinato alla pianista Beatrice Rana: lei pugliese che eseguirà una partitura nata nella sua terra. «La Romanza dell’ulivo per pianoforte e archi la sto scrivendo a Bari, nelle pause dalle prove – racconta Piovani –. È una composizione in fieri, che cambia ogni giorno. Posso solo riprendere le parole di Giuseppe Verdi che, interrogato su come sarà Ballo in maschera, rispose: “Speriamo che venghi bene!”. Dopo mi attende un concerto per coro e orchestra sinfonica».

Maestro, per lei è l’ora della lirica?

«Sento l’opera come il genere di rappresentazione musicale più ricco e comunicativo, nell’ambito di una musica complessa, riflessiva, teatrale. Fermo restando che c’è un tempo per tutto: uno per ascoltare i concentrati di Schnittke, uno per godersi la poesia di Paolo Conte, uno per sentire i Måneskin muovendo ritmicamente il corpo».

La sua prima opera è stata Amorosa presenza. Adesso Il labirinto di Creta. Che cosa hanno in comune?

«Due storie diversissime, ma tutte e due scritte con il desiderio di comunicare con il pubblico attraverso il canto teatrale. La prima è un’opera piena di ambiguità allusiva, di ironie erotiche, di malinconia lirica: nelle intenzioni dell’autore ovviamente. Il “Labirinto” cerca di andare dritto all’animo dei ragazzi senza doppie letture possibili: il cattivo è cattivo, il buono è il buono, il finale è lieto».

Perché un mito per raccontare in musica la lotta fra il bene e il male ai piccoli spettatori?

«Perché non conosco un materiale più ricco della mitologia per narrare una favola fuori dal tempo reale. Le favole degli antichi greci sono fra le più universali e attuali che io conosca: sono modernissime».

Domina l’idea che la lirica sia astrusa, “difficile” da ascoltare. Come avvicinare i giovanissimi?

«Ci sono titoli di opere liriche italiane, tedesche, francesi che si replicano a teatri esauriti da decenni in mezzo pianeta. È vero pure che Donizetti è più conosciuto in Inghilterra che in patria. L’Italia contemporanea inclina un po’ verso l’analfabetismo musicale. Secondo me l’opera lirica, nella sua complessità, può essere una forma di spettacolo moderna, comunicativa e popolare, con ancora potenzialità da esplorare».

Eppure nei cartelloni la musica contemporanea rimanda spesso all’universo atonale. E ciò fa tremare i polsi a molti…

«Dal secondo Novecento in poi, la musica egemone nelle accademie, nelle sale da concerto, nei teatri d’opera è stata una musica cosiddetta d’avanguardia, termine spicciativo, per capirsi. Una musica che cancellava ideologicamente, programmaticamente la comunicazione, il fruitore, il pubblico. Tanta grande musica del Novecento, a partire da quella di Nino Rota, non trovava spazi nelle programmazioni che erano affollate di opere figlie di Darmstadt: musiche autoreferenziali, prime esecuzioni mondiali, assolute. Ma anche prime e ultime. Il pubblico ha associato il termine “contemporanea” a un unico genere di musica. Ho vissuto gli anni in cui perfino Šostakovic e Bernstein venivano visti con sospetto. Ma ora il Novecento è finito. La musica del Duemila è un altro capitolo, con tutto il rispetto per i lasciti della “vecchia dissonanza”. Il linguaggio post- Darmstadt è ormai molto datato: è più datato e ha meno eternità del Samba brasiliano».

“Il labirinto di Creta” di Nicola Piovani al Petruzzelli di Bari - © Clarissa Lapolla

Come la musica da cinema e le canzoni contaminano una sua partitura operistica o sinfonica?

«Il mio linguaggio musicale è uno. Nel raccontare l’oggi tutti i generi si mescolano e convivono nella mia immaginazione. Ma il cinema richiede comunicativa immediata; l’opera, come la musica da concerto, richiede una maggiore complessità di ascolto. Un conto è stare in teatro, in silenzio, a seguire per un’ora consecutiva una partitura; un conto è sentire un tema musicale mentre guardi e ascolti Marcello Mastroianni, Alberto Sordi o Uma Thurman. Quando ho musicato Il marchese del grillo, la semplicità e la comunicativa immediata erano d’obbligo. Quando ho composto Il canto dei neutrini per violoncello e archi, ho sentito il desiderio-dovere di concedermi la complessità impegnativa, lo spessore».

La sua Pietà è stata proposta in Israele e nei Territori Palestinesi. Oggi nel mondo i governanti fanno “suonare” più le armi che la musica?

«Nel mondo cresce il rumore della guerra e soprattutto si sta avvicinando alle nostre porte: per questo ci inquieta. Purtroppo la televisione ci ha abituati a digerire le carneficine lontane da casa nostra. Ma ora dire che siamo sull’orlo del precipizio non è catastrofismo: è realismo».

Teme che l’intelligenza artificiale possa prendere il posto dei compositori?

«Non so se si possa definire tutto ciò una fonte di preoccupazione. Ma non escludo, in un futuro distopico, che l’intelligenza artificiale possa sostituire non solo i compositori, ma anche gli ascoltatori. Chissà! Nel presente l’IA, come tutte le nuove invenzioni, può aiutarci molto. Dipende da quale uso se ne farà».

Che cosa segna il termometro della cultura italiana?

«Al momento molte parole sono volte ad attribuire i “campi” culturali: quella musica sinfonica è di sinistra; quel quadro è di destra… Per i risultati concreti bisogna aspettare fiduciosamente».