Musica. Piovani: ecco la mia “prima” favola d'amore
Il maestro Nicola Piovani dirige l’orchestra di “Amorosa presenza”
La fatica di amare. Il bisogno di amare. L’amore che trova sempre la propria strada. Amorosa presenza, un romanzo di Vincenzo Cerami, diventa il titolo della prima opera di teatro musicale di Nicola Piovani. Il libretto è stato scritto a quattro mani: dal musicista, recentemente eletto Accademico di Santa Cecilia, e da Aisha Cerami, figlia dello scrittore. La regia è di Chiara Muti, la prima delle sei repliche previste è fissata al Teatro Verdi di Trieste per venerdì 21 gennaio. Tra prove musicali la mattina e prove di regia il pomeriggio, il momento della pausa pranzo è propizio per una calma conversazione.
Lei ha avuto una lunga consuetudine di lavoro e un forte affetto verso Vincenzo Cerami, scomparso nel 2013. Perché la scelta di questa vicenda di amore e di travestimenti, di due personaggi che si trasformano per raggiungere l’altro?
Il soggetto l’ho scelto quarant’anni fa, quando il romanzo di Cerami, con cui lavoravo fianco a fianco, ancora non era stato pubblicato: il meccanismo narrativo che c’è dietro quel libro mi è sembrato di grande potenza teatrale, ricorda gli ingranaggi drammaturgi del palcoscenico antico, elisabettiano, classico. Il tema della presenza e dell’assenza di identità in amore, terribilmente attuale, mi ha subito conquistato. In quel tempo avevo avuto una commissione verbale per un’opera musicale dal Teatro Nazionale di Atene: avevo da poco fatto un concerto ad Eraklion. Chiesi a Cerami di lavorare a trasformare il soggetto del suo romanzo in un libretto a struttura classica. Ci dedicammo insieme qualche mese. Scrivemmo quello che in cinema si chiama il trattamento, e lui scrisse i versi del primo coro. Poi la commissione cadde, e il progetto rimase nel cassetto.
Quale è stato il percorso dal romanzo al libretto? Ci sono stati interventi radicali, cambiamenti significativi?
Il libretto parte non dal romanzo, un libro magnifico di natura fortemente letteraria, ma dal racconto su cui il romanzo si basa. I cambiamenti più radicali li facemmo insieme, quando abbiamo immaginato la “scaletta” dell’opera. Abbiamo aggiunto tre personaggi per sostituire i pensieri ad al- ta voce del romanzo con dialoghi e concertati. E il finale, che nel romanzo è alluso, qui è messo in scena, e non lascia dubbi sul lieto fine. Con Aisha Cerami abbiamo costruito un libretto rispettoso di quella linea iniziale.
Lei ha scritto spesso per la voce; canzoni, cantate, commedie musicali, spettacoli dove parola e canto si fondono. Che cosa distingue, ancora, un’opera dagli altri generi in cui musica e canto si incontrano?
L’opera punta ancora sulle voci naturali, non amplificate, sulle masse corali e orchestrali che solo un ente lirico può permettersi. Amorosa presenza è organizzata in un flusso narrativo continuo, ma coniuga questa scelta con l’uso di cavatine, romanze, cabalette. In brevi tratti sono presenti anche dei recitativi accompagnati dal pianoforte, assunti con intento ironico. È un’opera semiseria, come recita il sottotitolo. «Il bacio è un bell’inganno / le favole lo sanno / L’antica storia di Eco e Narciso / Senza una meta / Gira il pianeta / Quando ritorna la primavera / Fra le lusinghe del testosterone / si rappresenta più tenera e lieve / ogni fatica d’amor» (sono alcuni versi del libretto che, grazie alla sua cortesia, pubblichiamo in anteprima).
Quale vocalità ha scelto per farli cantare?
La vocalità è lirica, impostata, riproponendo tutti i ruoli classici, dal soprano al basso
Come ha impiegato la risorsa dell’orchestra? Ci sono dei temi affidati a degli strumenti?
Ho da sempre un debole per il clarinetto, ma qui, in alcune scene, strumenti come il sassofono, la chitarra elettrica, l’ukulele ci suggeriscono che stiamo parlando di oggi, un oggi ampio. Il primo libretto, degli anni Settanta, diceva «l’azione si svolge al giorno d’oggi»; il libretto d’oggi dice «L’azione si svolge negli anni settanta». E il tutto accade in «una immaginaria metropoli».
La produzione di un’opera, soprattutto di un’opera nuova, è un percorso tanto affascinante quanto complesso.
Un’opera nuova è più complessa, perché i teatri vivono quasi esclusivamente di repertorio. Le prove di un titolo consolidato come Bohème richiedono meno prove di una novità. Soprattutto se parliamo di un’opera a vocazione narrativa che non si ripara dietro effetti esteriori. Rispetto ad altre esperienze che ho fatto, qui il margine di ricerca in palcoscenico è soppresso: quando iniziano le prove devi avere in mente tutti i dettagli.
Ci può anticipare alcune soluzioni della regia di Chiara Muti?
Chiara Muti è un’artista che conosce bene sia il teatro, sia la musica, e li ama entrambi. Nel suo lavoro ci sono invenzioni sceniche che approfondiscono il senso della storia, non distraggono. Gliene sono grato: come spettatore soffro molto quando vado all’opera e la regia, firmata e stellata, introduce elementi estranei alla storia, trovate che deconcentrano dal racconto. Naturalmente non è indispensabile mettere in scena Aida con le piramidi, Idomeneo con le brocche cretesi e Turandot con le cineserie. Quando Chiara ed io ci siamo parlati all’inizio, ci siamo subito intesi. Abbiamo messo a fuoco che Amorosa presenza è una «quasi favola», un fumetto naturalistico. Lo so che è un ossimoro, ma mi è venuta così... Una favola dove gli alberi, al risveglio primaverile e durante il gelido inverno, cantano. E in autunno il vento ha un profumo di castagne. La natura non muore. Questi gli ultimi versi di Amorosa presenza: «Raccontando miraggi e sciarade / Se nel cielo è spuntata la luna / Per l’amore ci son mille strade / E questa è una!». Nicola Piovani, inscalfibile ottimista della vita.