È il Papa del Novecento (e probabilmente della storia intera) che più si sia avvicinato al cielo sulle proprie gambe. Eppure Pio XI è l’unico Pontefice del secolo scorso per il quale non si parli di beatificazione... Eh, a volte la storia scherza persino con i santi. Ma certo non potrà rubare ad Achille Ratti un primato che gli appartiene prima ancora di quello petrino: l’essere stato il primo (e unico?) «Papa alpinista». Lo scrisse Carlo Emilio Gadda nel suo Pasticciaccio e lo ribadisce ora Alberto Maria Careggio, vescovo di Ventimiglia-Sanremo eppure grande amatore delle montagne: «La qualifica spetta, senza dubbio, a chi aveva la stoffa dei grandi scalatori italiani» della sua epoca.Il giudizio viene emesso a prefazione di un libro interamente dedicato proprio ad Achille Ratti, il prete alpinista che diventò Papa (Bellavite editore, pp. 264, euro 25), ricerca compilata da Domenico Flavio Ronzoni: uno storico brianzolo e inseguitore delle vette come il Pontefice desiano. Uomo di scrivania e di biblioteca (fu prefetto dell’Ambrosiana dal 1907 e della Vaticana dal 1914), monsignor Ratti ci sapeva appunto fare anche con scarponi e piccozza: lo dimostra l’«elenco delle salite ed escursioni » che Sua Santità vergò di propria mano e che il libro ora riproduce. Tra l’agosto 1885 e l’ottobre 1913, ovvero prima del suo trasferimento prima a Roma e poi come diplomatico vaticano in Polonia (tornò a Milano come arcivescovo nel 1921, ma solo per 5 mesi prima di diventare Papa), il poliedrico ecclesiastico poté collezionare una bella quantità di imprese alpine, sia sui monti «di casa» (la Grigna sopra Lecco, il Legnone presso Colico), sia su massicci rinomati come il Gran Paradiso, la Marmolada, il Rosa, il Cervino, il Bianco.Scelte che al presidente del Club Alpino Italiano Annibale Salsa permettono, nella presentazione del volume, di definire tecnicamente l’antico socio Ratti (iscritto dal 1888 e più tardi membro del Consiglio direttivo milanese) un «occidentalista », ovvero uno scalatore «attratto più dai terreni misti di neve, ghiaccio e roccia che dai virtuosismi tecnici del dolomitismo»; pur se le difficoltà di certi suoi itinerari «meritano tutta la dovuta attenzione da parte degli ambienti alpinistici». Non per nulla, il curriculum del prelato annovera sotto l’anno 1889 la prima salita italiana alla Punta Dufour sulla parete est del Rosa e nel 1890 un’ancor più prestigiosa apertura sulla regina delle cime europee, il Bianco, lungo la via a tutt’oggi nota come «Ratti-Grasselli » (dal nome dell’inseparabile compagno di cordata don Luigi Grasselli) o più sbrigativamente «via del Papa». E in Val d’Aosta c’è anche una Punta Ratti, vetta di 2840 metri che ricorda il supremo scarpinatore; che è pure l’unico Papa cui oggi risulti intitolato un rifugio alpino, in Val Venosta. Né da sottovalutare sono gli itinerari pontifici che oggi diremmo di trekking. Nel 1892, per esempio, il futuro Pio XI compie un lungo giro da Pinerolo a Milano attraverso una quantità di passi e cime, passando anche una notte all’addiaccio, così come nel 1900 si dedicherà all’escursionismo notturno sul Vesuvio. Infine nell’ottobre 1913 resta ben 4 giorni da solo nel bivacco sulla vetta della Grigna: è il suo «addio ai monti», visto che in seguito il diario non annota più mete. Ma il fatto che l’ecclesiastico segni con scrupolo tutte le sue «imprese», conservandone l’elenco tra le cose più personali in un cofanetto foderato di stoffa rossa, la dice lunga sulla considerazione in cui doveva tenere l’attività alpinistica; anche quando – come scrisse l’abate valdostano Joseph- Marie Henry – aveva ormai già compiuto «la più alta ascensione possibile in questo mondo: quella al soglio pontificio!». Tra facili e impegnative, Ronzoni valuta in un centinaio le gite montane del Papa, sempre accuratamente preparate sia sulla carta (con lo studio degli itinerari e delle relazioni di precedenti salite), sia sul terreno. «L’alpinismo vero non è già cosa da scavezzacolli», reputava don Ratti; e in effetti la sua informata prudenza salvò una volta la vita di un giovane montanaro che la sua cordata aveva preso come guida sul Gran Paradiso ma che aveva affrontato in modo imprudente una cornice nevosa: per fortuna il sacerdote brianzolo aveva letto delle difficoltà del passaggio e provvide ad assicurare per bene la corda, che in effetti bloccò poi la caduta dell’imprudente. Quanto il sacerdote prendesse sul serio le sue scalate (passione peraltro di famiglia, condivisa con due fratelli e un nipote, di cui Ronzoni ha ritrovato le lettere «alpinistiche») è indicato pure dall’attività pubblicistica dedicata alla materia, con relazioni e articoli pubblicati sulla rivista del Cai e riuniti dopo la sua elezione a capo della Chiesa in un raro volume del 1923, che ora Ronzoni riproduce fotograficamente. In quello stesso anno in più Papa Ratti fece inserire nel Rituale la formula per benedire corda e piccozze e nominò san Bernardo patrono di montanari e alpinisti, con una lettera apostolica in cui decretava addirittura che le scalate – «con l’esclusione, s’intende, di ogni irragionevole rischio» – sono lo sport «più corroborante per la sanità morale e per la salute fisica». E se l’affermazione probabilmente non cade sotto la tutela dell’infallibilità pontificia, tuttavia è pur sempre parola di Papa.