Il «no» fermo di Pio XI alle leggi razziali volute da Mussolini fu espresso in una lettera che il cardinale Pacelli, futuro Pio XII, aveva scritto nel-l’estate 1938 a nome del Pontefice perché fosse consegnata personalmente al Duce. La lettera, che non fu mai spedita, è stata ritrovata negli archivi della Fondazione per le Scienze religiose «Giovanni XXIII» di Bologna e resa nota ieri dalla ricercatrice Raffaella Perin nel corso del colloquio internazionale di studio su Papa Ratti svoltosi all’Ambrosianeum di Milano. Il convegno è stato introdotto dallo storico tedesco Hubert Wolf, per il quale Pio XI «si colloca, a torto, all’ombra del suo predecessore, Benedetto XV, e soprattutto del suo successore, Pio XII. Il suo pontificato merita invece una trattazione scientifica autonoma, non potendo essere il ruolo di Pio XI limitato alle questioni ecclesiastiche interne». L’incontro di studio si è articolato su tre parole chiave: «Totalitarismo, morale, Russia», nelle quali si può leggere e rivalutare – a 360 gradi e con rigorosi criteri scientifici, fuori da ogni criterio dogmatico – un magistero che, secondo alcuni, si sarebbe occupato solo dei totalitarismi (il fascismo, il nazionalsocialismo, il comunismo) privilegiando in pratica i rapporti politici e diplomatici tra la Santa Sede e il nazionalismo degli Stati. Invece «grazie all’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano – come dice il professor Alberto Melloni, segretario della Fondazione bolognese – ci viene presentato (e le ricerche sono tuttora in corso) un Pio XI sottratto al confronto con Papa Pacelli e ci vengono restituite invece la complessità e anche le ricchezze di un pontificato che toccano aspetti significativi come il rapporto con i vescovi, il ruolo del laicato, quello con le altre Chiese e comunità religiose, l’ecumenismo, la dimensione missionaria, il tema della pace, quello della famiglia e della donna, il riconoscimento degli ebrei come 'fratelli maggiori'». Puntualizza il professore Wolf: «La strategia di Pio XI e della sua Curia nella lotta ai totalitarismi del XX secolo può essere esaminata a fondo e in modo adeguato solo in una prospettiva di confronto internazionale». Nella quale la cura delle anime e la tutela dei diritti umani vengono tradotte dal Papa in una affermazione che può essere considerata provocatoria: la Chiesa è l’unica istituzione che, legittimamente, può definirsi totalitaria per la sua dimensione spirituale. Un’altra storica, Emma Fattorini, spiega: «Il pontificato di Pio XI passa per due fasi diverse. La prima è quella degli anni ’20, quando Ratti cerca di trovare una soluzione con il regime fascista; il Concordato è l’apice di questa fase. Ma già nella metà degli anni ’30, soprattutto con il nazismo ma non solo, il Pontefice esplicita un rifiuto totale, profondo verso i totalitarismi. Non c’è più in lui la ricerca di una cristianità, come quella che si voleva realizzare in Spagna, in Portogallo, in altre nazioni. Diventa più chiara la sua lettura della storia: il destino della Chiesa è inscindibile da quello del genere umano». L’apertura degli Archivi Vaticani ha messo in moto, con la partecipazione di studiosi e di istituti scientifici di vari Paesi, una serie di ricerche i cui primi risultati sono stati presentati nel colloquio apertosi ieri (proseguirà oggi) in uno spettro di relazioni e comunicazioni che parte dall’edizione critica «on line» dei rapporti di Eugenio Pacelli negli anni della Nunziatura, dal 1917 al 1929, a Monaco e poi a Berlino a cavallo tra i pontificati di Benedetto XV e Pio XI. Si tratta di ben 6500 tra relazioni, documenti che costituiscono una nutrita miniera di informazioni, valutazioni sulla realtà politica e sociale della Germania di quegli anni, con notazioni anche curiose come quando monsignor Pacelli scrive, a proposito di un veicolo messo a disposizione della Nunziatura, che « l’automobile è degna di un rappresentante del Papa». In questa serie di rapporti si possono intravedere anche i futuri interventi di Pio XI e poi di Pio XII. Nelle diverse comunicazioni della giornata non sono mancati ovviamente i riferimenti ai contrasti, ai silenzi, ai fiancheggiamenti che segnarono i rapporti tra la Santa Sede e l’impero fascista, così come le reazioni del Vaticano alla guerra civile spagnola, con i timori di una deriva totalitaria. E si toccano anche aspetti meno noti come il concordato con la Romania o la situazione della Cecoslovacchia (nodo cruciale della politica internazionale alla vigilia della guerra). Anche la redazione dell’enciclica Divini Redemptoris, di condanna del comunismo internazionale, trova negli archivi vaticani un’ampia documentazione che spiega non solo la diffusione del documento, ma anche la presa del bolscevismo in tutto il mondo, Alaska compresa (e perfino in qualche seminario). Come nota lo storico Carlo Felice Casula, l’enciclica rivela anche come il rapporto tra Vaticano e Unione sovietica è ritenuto negli anni Trenta «poco importante». A latere dell’enciclica, c’è la vicenda della «mano tesa» ai cattolici avanzata per la seconda volta nell’ottobre 1937 dal leader comunista francese, Thorez. Nella Pasqua precedente Pio XI aveva respinto ogni forma di collaborazione; invece il 7 novembre, parlando ai vescovi francesi, il Papa conferma la condanna ma – lo rileva la ricercatrice francese Marie Levant – non in modo così fermo. E a Pacelli, segretario di Stato, spiega: «Occorre che episcopato, clero e buoni cattolici si rendano conto della realtà delle cose. Vale a dire che non ci rimane che dare l’esempio dell’attuazione delle idee cristiane». Ma l’indicazione del Papa cadde nel vuoto. Le ultimi notazioni riguardano gli interventi di Pio XI sulla famiglia, sulla formazione delle élites femminili cattoliche nel periodo tra le due guerre, sui rapporti tra il cattolicesimo americano, la Santa Sede e gli Stati Uniti. Aspetti di un pontificato meno noto fuori da ogni ufficialità.