Agorà

STORIA. Pio XI a Mussolini: no alle leggi razziali

Antonio Airò mercoledì 10 giugno 2009
Il «no» fermo di Pio XI alle leggi raz­ziali volute da Mussolini fu espres­so in una lettera che il cardinale Pa­celli, futuro Pio XII, aveva scritto nel-­l’estate 1938 a nome del Pontefice per­ché fosse consegnata personalmente al Duce. La lettera, che non fu mai spe­dita, è stata ritrovata negli archivi del­la Fondazione per le Scienze religiose «Giovanni XXIII» di Bologna e resa no­ta ieri dalla ricercatrice Raffaella Pe­rin nel corso del colloquio internazio­nale di studio su Papa Ratti svoltosi al­l’Ambrosianeum di Milano. Il convegno è stato introdotto dallo sto­rico tedesco Hubert Wolf, per il quale Pio XI «si colloca, a torto, all’ombra del suo predecessore, Benedetto XV, e so­prattutto del suo successore, Pio XII. Il suo pontificato merita invece una trat­tazione scientifica autonoma, non po­tendo essere il ruolo di Pio XI limitato alle questioni ecclesiastiche interne». L’incontro di studio si è articolato su tre parole chiave: «Totalitarismo, morale, Russia», nelle quali si può leggere e ri­valutare – a 360 gradi e con rigorosi cri­teri scientifici, fuori da ogni criterio dogmatico – un magistero che, secon­do alcuni, si sarebbe occupato solo dei totalitarismi (il fascismo, il nazional­socialismo, il comunismo) privile­giando in pratica i rapporti politici e diplomatici tra la Santa Sede e il na­zionalismo degli Stati. Invece «grazie all’apertura dell’Archivio Segreto Vati­cano – come dice il professor Alberto Melloni, segretario della Fondazione bolognese – ci viene presentato (e le ricerche sono tuttora in corso) un Pio XI sottratto al confronto con Papa Pa­celli e ci vengono restituite invece la complessità e anche le ricchezze di un pontificato che toccano aspetti signi­ficativi come il rapporto con i vescovi, il ruolo del laicato, quello con le altre Chiese e comunità religiose, l’ecume­nismo, la dimensione missionaria, il tema della pace, quello della famiglia e della donna, il riconoscimento degli ebrei come 'fratelli maggiori'». Puntualizza il professore Wolf: «La stra­tegia di Pio XI e della sua Curia nella lotta ai totalitarismi del XX secolo può essere esaminata a fondo e in modo a­deguato solo in una prospettiva di con­fronto internazionale». Nella quale la cura delle anime e la tutela dei diritti umani vengono tradotte dal Papa in u­na affermazione che può essere con­siderata provocatoria: la Chiesa è l’u­nica istituzione che, legittimamente, può definirsi totalitaria per la sua di­mensione spirituale. Un’altra storica, Emma Fattorini, spie­ga: «Il pontificato di Pio XI passa per due fasi diverse. La prima è quella de­gli anni ’20, quando Ratti cerca di tro­vare una soluzione con il regime fasci­sta; il Concordato è l’apice di questa fase. Ma già nella metà degli anni ’30, soprattutto con il nazismo ma non so­lo, il Pontefice esplicita un rifiuto tota­le, profondo verso i totalitarismi. Non c’è più in lui la ricerca di una cristia­nità, come quella che si voleva realiz­zare in Spagna, in Portogallo, in altre nazioni. Diventa più chiara la sua let­tura della storia: il destino della Chie­sa è inscindibile da quello del genere umano». L’apertura degli Archivi Vaticani ha messo in moto, con la partecipazione di studiosi e di istituti scientifici di va­ri Paesi, una serie di ricerche i cui pri­mi risultati sono stati presentati nel colloquio apertosi ieri (proseguirà og­gi) in uno spettro di relazioni e comu­nicazioni che parte dall’edizione criti­ca «on line» dei rapporti di Eugenio Pa­celli negli anni della Nunziatura, dal 1917 al 1929, a Monaco e poi a Berlino a cavallo tra i pontificati di Benedetto XV e Pio XI. Si tratta di ben 6500 tra re­lazioni, documenti che costituiscono una nutrita miniera di informazioni, valutazioni sulla realtà politica e so­ciale della Germa­nia di quegli anni, con notazioni an­che curiose come quando monsignor Pacelli scrive, a pro­posito di un veico­lo messo a disposi­zione della Nunzia­tura, che « l’auto­mobile è degna di un rappresentante del Papa». In questa serie di rapporti si possono intravedere anche i futuri in­terventi di Pio XI e poi di Pio XII. Nelle diverse comunicazioni della gior­nata non sono mancati ovviamente i riferimenti ai contrasti, ai silenzi, ai fiancheggiamenti che segnarono i rap­porti tra la Santa Sede e l’impero fa­scista, così come le reazioni del Vati­cano alla guerra civile spagnola, con i timori di una deriva totalitaria. E si toc­cano anche aspetti meno noti come il concordato con la Romania o la situa­zione della Cecoslovacchia (nodo cru­ciale della politica internazionale alla vigilia della guerra). Anche la redazio­ne dell’enciclica Divini Redemptoris, di condanna del comunismo interna­zionale, trova negli archivi vaticani un’ampia documentazione che spie­ga non solo la diffusione del docu­mento, ma anche la presa del bolsce­vismo in tutto il mondo, Alaska com­presa (e perfino in qualche seminario). Come nota lo storico Carlo Felice Ca­sula, l’enciclica rivela anche come il rapporto tra Vaticano e Unione sovie­tica è ritenuto negli anni Trenta «poco importante». A latere dell’enciclica, c’è la vicenda della «mano tesa» ai catto­lici avanzata per la seconda volta nel­l’ottobre 1937 dal leader comunista francese, Thorez. Nella Pasqua prece­dente Pio XI aveva respinto ogni forma di collaborazione; invece il 7 novem­bre, parlando ai ve­scovi francesi, il Pa­pa conferma la condanna ma – lo rile­va la ricercatrice francese Marie Le­vant – non in modo così fermo. E a Pa­celli, segretario di Stato, spiega: «Oc­corre che episcopato, clero e buoni cat­tolici si rendano conto della realtà del­le cose. Vale a dire che non ci rimane che dare l’esempio dell’attuazione del­le idee cristiane». Ma l’indicazione del Papa cadde nel vuoto. Le ultimi notazioni riguardano gli interventi di Pio XI sulla famiglia, sulla formazione delle élites femminili cat­toliche nel periodo tra le due guerre, sui rapporti tra il cattolicesimo ameri­cano, la Santa Sede e gli Stati Uniti. A­spetti di un pontificato meno noto fuo­ri da ogni ufficialità.