«Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». A “latinoamericanizzare” la massima di Joseph Goebbels, ingegnere dell’infernale macchina della propaganda nazista, è lo scrittore guatemalteco Francisco Goldman.
Quest’ultimo parla di una terza fase, cruciale, dell’omicidio politico, dopo la pianificazione e l’esecuzione. Si tratta dell’insabbiamento, volto a garantire l’impunità dei responsabili. In tale stadio è fondamentale la “disinformazione”, diffusa attraverso i media, al fine di screditare la vittima, fino a trasformarla in carnefice. Le guerre sporche che hanno insanguinato l’America Latina nella seconda metà del Novecento hanno perfezionato l’arte dell’omicidio politico a tal punto da rendere spesso “superflua” la soppressione fisica dell’oppositore. Era sufficiente la «morte civile» nelle sabbie mobili della calunnia. Nell’impiegare la menzogna come arma di guerra - il «terrorismo delle chiacchiere», direbbe papa Francesco - furono particolarmente abili i generali che oppressero con il pugno di ferro l’Argentina tra il 1976 e il 1983. Non a caso la richiesta di «
verdad» (verità) - insieme a quella di memoria e giustizia - è stato ed è il leitmotiv delle principali organizzazioni per i diritti umani. Eppure, spesso, anche queste ultime sono cadute nelle trappole abilmente ordite dai dittatori e dalla loro stampa addomesticata, o meglio manipolata.
Il caso più drammatico è quello di Pio Laghi, nunzio a Buenos Aires nei 93 mesi più tragici per l’Argentina. Il futuro cardinale iniziò la propria missione diplomatica il giorno della morte del presidente Perón, il 1 luglio 1974, e lo terminò come persona non grata il 21 dicembre 1980, durante l’apogeo criminale del regime. Da allora e, poi, ancora, a più riprese, dopo il ritorno della democrazia, intorno a tale figura è stata fabbricata una vera e propria «leggenda nera». Laghi è - in base a tale narrativa, tuttora dominante - l’emblema del sostegno attivo e complice della Chiesa alla giunta. La verità però, diceva Kant, è «figlia del tempo». Ora, la coraggiosa scelta del Vaticano - su esplicita richiesta di papa Francesco - di aprire gli archivi segreti relativi al periodo della dittatura argentina, con tutta probabilità, libererà definitivamente l’ormai defunto Laghi dalle catene infamanti della «versione ufficiale». Rivelando, addirittura, un’immagine opposta del vescovo-diplomatico. Non si tratta di una mera speranza. Bensì della fondata ipotesi che emerge già dal «materiale autentico, pubblico, già circolante da anni e tuttavia ignorato e occultato sistematicamente» negli archivi delle diocesi argentine e nella stessa corrispondenza privata di Laghi. A dichiararlo ad
Avvenire è
Luis Badilla, direttore de “Il sismografo”, che ha studiato a fondo tali carte e ha ricostruito l’intera vicenda in una serie di articoli diffusi sul prestigioso blog di informazione religiosa. Tale affermazione trova sostegno già in un primo documento contenuto negli archivi vaticani di prossima apertura e anticipato dallo stesso Badilla. Si tratta di una lettera inviata da Laghi, il 13 luglio 1976, al cardinale Jean Villot, allora prefetto del consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa. Nella missiva, la numero 1510/76, il nunzio racconta di un incontro con il generale Albano Harguindeguy, ministro dell’Interno, avvenuto quello stesso giorno e incentrato sul tema «dei detenuti politici, il sequestro e l’eliminazione di persone, al margine della legge, e la violazione di fondamentali diritti umani ». Nell’occasione, Laghi manifesta al militare la propria angustia per gli «atti di violenza compiuta da squadristi di destra» e «i metodi inammissibili di lotta contro la sovversione». Un linguaggio poco «consono» per «l’amico» del dittatore Emilio Massera, compagno di partite di tennis. «Ne giocarono quattro in sei anni. E Massera non si fece problemi a dichiarare il nunzio “persona non grata”», sottolinea Badilla. Ma c’è di più. In quel documento, il nunzio menziona «alcuni fogli nei quali avevo trascritto, secondo la categoria, i nomi dei detenuti, dei sequestrati e degli scomparsi, i cui familiari si sono rivolti alla Nunziatura per ottenere il nostro interessamento». Ebbene si tratta di un frammento del poco noto quanto reale “Schedario” di Pio Laghi. «Include cinquemila nominativi divisi in due gruppi: “detenuti” e “scomparsi” - racconta Badilla - inviati dal diplomatico al Vaticano come allegati ai periodici report, a sostegno della sua opera umanitaria». Fra le numerose liste, il direttore del “Sismografo”, ne cita in particolare una del 13 agosto 1976, contenente oltre sessanta nomi di persone arrestate in varie parti del Paese: Villa Devoto, Coronda, Mercedes, Resistencia, Sierra Chica. Fra questi, in un gruppo di 14 uomini catturati a Villa Devoto, si trova quello di Juan Martín Guevara, fratello minore del più famoso Ernesto. Il giovane era stato fermato nel marzo 1975, quando aveva 32 anni e tenuto «a disposizione del potere esecutivo nazionale». Un eufemismo per indicare la prigionia a «tempo indeterminato». Della sorte del giovane Guevara come di migliaia di altri detenuti o “desaparecidos”, argentini e non, si interessò Pio Laghi, senza fare alcuna differenza di appartenenze politiche o posizioni religiose. Esistono molte prove di tale azione. «Ci sono, ne ho copia, decine di lettere manoscritte di persone sconosciute che ringraziano Laghi per quanto aveva fatto nei casi che a lui e ai suoi collaboratori erano stati trasmessi, chiedendo aiuto. Ed esistono, inoltre, decine e decine di testimonianze di argentini, molti ancora vivi, che confermano in pieno le carte», aggiunge Badilla, poco incline per la sua stessa storia personale - è un esule cileno, perseguitato dal regime Augusto Pinochet - a giustificare i complici dei dittatori. Una posizione condivisa da Loris Zanatta, docente dell’Università di Bologna e tra i più noti studiosi della Chiesa argentina prima e dopo la dittatura. «La versione di un Pio Laghi attivo fiancheggiatore della giunta non trova rispondenza nei documenti spiega ad “Avvenire” l’autore di
La nazione cattolica (Laterza) - . Ho potuto, al contrario, esaminare una lettera inviata al nunzio da monsignor Alberto Devoto, vescovo di Goya e prossimo ai movimenti popolari, in cui lo ringrazia con particolare affetto per aver contribuito a salvare molti sacerdoti della diocesi nel mirino dei militari».
E, allora, da dove nasce la leggenda nera su Pio Laghi? È necessario tener presente che la propaganda dei militari argentini - sottolinea Marzia Rosti, esperta di regimi latinoamericani - cercava di accreditarli di fronte all’opinione pubblica come «i difensori della civiltà occidentale e cristiana» dal «cancro del marxismo». «Arruolare il nunzio» fra i loro sostenitori era, dunque, fondamentale per tenere in piedi tale «costruzione mediatica». «Pio Laghi fu, dunque, una delle troppe vittime della “guerra sporca”, figlia, a sua volta della Guerra Fredda - conclude Badilla - . E di quella logica di Jalta che, con la connivenza della quasi totalità dei Paesi del mondo, trasformò l’America Latina in una misera pedina nelle mani delle superpotenze. I suoi morti, scomparsi, esiliati, torturati - gli scartati dell’epoca - erano parte del gioco».